blog americalatina

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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Wednesday, January 30, 2008

Alba: progetto nuovo, discorso vecchio

Ci risiamo. Nell’ambito dell’Alba, che poteva e può ancora essere uno strumento di sviluppo e di alternativa –proprio come suggerisce il suo nome- risorgono i fantasmi della militarizzazione e della corsa all’armamento.
Chávez ha detto che le forze armate devono rafforzarsi per fare fronte contro il nemico comune, che è lo stesso per tutti i firmatari dell’Alba. Il riferimento agli Stati Uniti è palese, ma viene da domandarsi: sono gli Usa una minaccia militare reale per la sicurezza di Venezuela, Bolivia e Nicaragua? Di Cuba?
La risposta è no. Anzi, gli Stati Uniti, con il dispendio di energie in Medio Oriente e la crisi interna, sono deboli come non mai. Chávez lo sa e proprio per questo ha annunciato la militarizzazione dell’Alba. Di accordi, triplici unioni, assi ne è piena la storia e sono sempre stati forieri di guerre e di tragedie di enormi dimensioni, già che il loro scopo è quello di cibare gli enormi ego dei militari e l’immaginario popolare di appartenere ad una grande nazione.
A cosa serve dotare di un’alleanza militare l’area centroamericana e caraibica?. Innanzi tutto a destabilizzare una regione –il Centroamerica- che vive di una pace zoppicante, figlia di anni di conflitti e ad aprire inquietanti interrogativi sul futuro della Colombia e delle Farc, che troveranno ora un alleato istituzionale e con soldi da investire.
Le armi servono per fare la voce grossa. Ad Ortega servono per tenersi dalla sua l’esercito nicaraguense, espressione di una rivoluzione monca e istituzione che sta cercando a fatica una sua via al servizio della democrazia. E gli fanno comodo per nascondere i problemi endemici della società nicaraguense, il cui destino manifesto sembra essere la povertà ed il sottosviluppo.
Alla Bolivia serve per fare paura alla potenza militare del Sudamerica, il Cile, che da più di un secolo gli sta negando un corridoio all’oceano Pacifico, tanto desiderato per esportare senza dazi le ricchezze del proprio sottosuolo.
Il Venezuela, non è una novità, lavora da anni per diventare la vera potenza latinoamericana del futuro. Raccoglie alleati in zona ed in giro per il mondo, firma trattati, potenzia l’Opec per mantenere intatta la dipendenza dal petrolio ed i suoi derivati, investe in nuovi organismi finanziari ed ora si butta anche sulla corsa armamentista. Vuole dominare e vuole fare paura, tutto sotto il marchio della rivoluzione bolivariana, un’operazione che –solo per citare l’aggettivo rivoluzionario- raccoglie simpatie in un’Europa sempre entusiasta dei movimenti latinoamericani –tanto esotici ed alla moda-, ma preoccupa invece i vicini. Non dimentichiamo che il sogno di Bolívar, che persegue Chávez, prevedeva non solo un’America Latina unita, ma anche lo sterminio totale dei suoi nemici, gli Spagnoli, contro i quali aveva dichiarato la “guerra a muerte”. In fondo, sia Bolívar che Chávez sono uomini d’arme.

La pace ha avuto un caro prezzo, per ottenerla si è dovuti passare per un lungo processo durato anni e che ha distrutto famiglie e diviso popoli. La gente oggi la sta provando ed ha deciso che gli piace. Con tutti i suoi difetti e le sue ingiustizie, è sempre meglio che la guerra. Ma i generali (e colonnelli) si sa, questo non lo possono tollerare.

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Tuesday, January 29, 2008

Patricia Troncoso sospende lo sciopero della fame

Patricia Troncoso ha infine sospeso lo sciopero della fame che da 110 giorni la vedeva protestare contro il trattamento imposto dal governo cileno ai prigionieri Mapuche. Alla Troncoso sono stati concessi infine alcuni benefici: potrà passare dal regime di carcere duro a lavorare in una fattoria-prigione e disporre dell’uscita domenicale. Insomma, per aver scontato più della metà della pena potrà usufruire dei normali benefici di legge, evitando così le misure della legge anti-terrorismo ispirata da Pinochet.
Da una settimana la Troncoso era alimentata a forza in un ospedale di Chillán, nel sud del Paese. Determinante perchè la situazione infine si sbloccasse, la mediazione del vescovo di Roncagua, Alejandro Goic.

Qui il link del documento presentato da Goic ai rappresentanti del governo sulla situazione dei Mapuche: http://www.piensachile.com/content/view/3564/7/
Da parte del governo Bachelet c’è la promessa, ancora una volta di aprire un tavolo di negoziati. Per il momento, però, la minaccia di trovarsi una martire mapuche tra i piedi, è scongiurata.

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Monday, January 28, 2008

L'Alba tra soldi e armi

La banca dell’Alba è ufficialmente nata. A firmarne l’esecuzione sono stati i governi di Venezuela, Nicaragua, Bolivia, Cuba e Dominica, piccola isola dei Caraibi, che ne autorizzano la creazione con un capitale di mille milioni di dollari. Secondo i suoi ideatori la banca muoverà i finanziamenti seguendo ragioni politiche e non economico/finanziarie, in netto contrasto con le linee finora imposte, per esempio, dal Fondo Monetario Internazionale ed i grandi istituti di credito.
I primi ad ottenerne i privilegi saranno la Dominica –dove sarà costruita una pianta geotermica- ed il Nicaragua, dove si svilupperà un progetto a favore dei piccoli coltivatori di caffè. Il Banco del Alba –questo il suo nome e da non confondere con il Banco del Sur- ha già una sede centrale a Caracas.
Ma nell’ultima riunione nel seno delle nazioni partecipanti all’Alternativa bolivariana, si è parlato anche di armamentismo. Hugo Chávez e Daniel Ortega si sono trovati d’accordo sulla creazione di una forza militare congiunta, già che –secondo le parole del presidente venezuelano- “il nemico è lo stesso per tutti”.
La dichiarazione finale del summit si trova sulla pagina web dell’Alba:
http://www.alternativabolivariana.org/

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Thursday, January 24, 2008

Messico, terra di disertori

I messicani? Grandi disertori. In sette anni (durante la presidenza di Fox ed il primo anno di Calderón) le forze armate messicane hanno fatto registrare più di centomila diserzioni. Solo nel 2007 ci sono state quasi diciottomila defezioni (17758 per l’esattezza, più 119 ufficiali ed otto comandanti). Secondo il Ministero della Difesa (http://www.sedena.gob.mx/) l’alto indice di deserzione è dovuto soprattutto alla mancanza di adeguamento alla vita militare, ma esistono molti casi documentati di soldati che, dopo aver ricevuto l’addestramento basico dall’esercito, passano ad ingrossare le fila delle truppe mercenarie del narcotraffico.
Il caso degli Zeta è il più eclatante. Braccio armato del cartello del Golfo, gli Zeta sono tutti ex militari delle forze speciali, passati dalla parte della delinquenza in vista dei grossi guadagni che l’affiancamento al narcotraffico comporta. L’ammissione del governo messicano è stata accompagnata però dall’assicurazione che l’offensiva scatenata dall’esercito ai cartelli ha posto un freno all’emorragia di forze.
Sarà, ma intanto sono in molti –e primo fra tutti l’Ombudsman- a chiedere il ritiro dell’esercito dalle zone di conflitto con il narco. A farne le spese, secondo il Difensore civico, José Luis Soberanes, è la popolazione civile: secondo dati in possesso della Commissione nazionale per i diritti umani l’esercito si sarebbe macchiato, soprattutto nelle zone rurali, di torture, stupri ed omicidi a civili innocenti (
http://www.cndh.org.mx/).

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Tuesday, January 22, 2008

Finalmente si parla di Patricia

Ci sono voluti 102 giorni di digiuno perchè il caso di Patricia Troncoso, la mapuche cilena in sciopero della fame, finisse finalmente sulla stampa internazionale. La Efe, agenzia di stampa spagnola ed i più importanti giornali latinoamericani stanno infine parlando di lei.
Il caso ha ormai dell’incredibile e rivela come gli organi di stampa siano anche fin troppo compiacenti con la Bachelet ed il suo governo. L’affanno dei media è sempre stato quello di mostrare le bontà di un governo moderato di sinistra nel quadro di un’America Latina in ebollizione. Il Cile, insomma, sarebbe un esempio da seguire, dove tutto funziona a dovere, perchè qui viene seguito il modello di una democrazia illuminata, simile a quelle europee.
Quello dei Mapuche è quindi un grosso fastidio.
La Troncoso è in sciopero della fame dal 12 ottobre dello scorso anno, in segno di protesta non solo per il trattamento che viene dato agli attivisti Mapuche, ma anche per la condanna che –avvalendosi delle leggi pinochetiste sul terrorismo- l’ha destinata a dieci anni di carcere duro. Patricia Troncoso -condannata perchè risultata colpevole di aver appiccato un incendio su dei terreni proprietà della Forestal Mininco, ma reclamati dalla comunità Mapuche- oggi sarebbe già in libertà se fosse stata trattata come gli altri detenuti, avendo già scontato la metà della pena.
Il governo cileno, in un goffo tentativo, sta cercando di nutrire la Troncoso alla forza ed evitare così che si trasformi in un problema internazionale, soprattutto quando la Bachelet fa bella mostra in Europa del suo Cile all’avanguardia in quanto a diritti umani e sviluppo sociale.
Ora Patricia rischia davvero di morire, ma le autorità sembrano disinteressate a riaprire la causa e a concederle un processo giusto. Amnesty International ha presentato una supplica alla Bachelet perchè riconsideri la posizione del suo governo, ancorato però su un ostinato impiego del legalismo.
La pagina della Coordinadora Arauco Malleco, di cui è attivista la Troncoso:
http://www.nodo50.org/weftun/

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Tuesday, January 15, 2008

La via guatemalteca alla socialdemocrazia

Il Guatemala apre infine alla socialdemocrazia. Álvaro Colom ha assunto ufficialmente la presidenza della Repubblica e trova un Paese in piena emergenza sociale. 5780 omicidi nell’anno appena trascorso, una campagna elettorale violenta, che ha lasciato sul terreno almeno 50 morti, la divisione tra il Guatemala bianco e quello indigeno, nonchè la corruzione, la penetrazione del narcotraffico in qualsiasi grado della società ed una povertà endemica per la maggioranza della popolazione. Per Colom il compito sarà tutt’altro che facile: inaugurerà il suo governo con un piano di emergenza di cento giorni, che dovrà dargli la misura delle sue capacità di intervento sul sociale.
Colom ha messo comunque le mani avanti. Ha fatto sapere subito che i cambiamenti saranno graduali, perchè il Guatemala è un paese conservatore e tradizionalista. Niente radicalismi, sia in politica interna che estera. A chi gli chiedeva delle relazioni con Chávez, Colom ha risposto che la socialdemocrazia guatemalteca sarà un esperimento completamente differente dal modello bolivariano. In fondo, non è il migliore momento per solidarizzare con Chávez, le cui ultime dichiarazioni sulla legalità delle Farc hanno scatenato un putiferio.
Più vicino a Lula che a Chávez, quindi, Colom è un ingegnere di 56 anni che ha lavorato a lungo nel settore tessile. È un imprenditore e come tale appoggia il libero mercato, ma è convinto che è necessario investire nel sociale e creare modernità nei settori da sempre sottovalutati nell’universo guatemalteco: l’educazione, la salute, l’impiego. Per realizzare uno stato socialmente avanzato ha bisogno di soldi, per cui ha già annunciato che farà in modo che tutti paghino le tasse. Attualmente in Guatemala solo il 13% della popolazione paga qualche imposta, mentre gli imprenditori evadono più che possono. Secondo il loro ragionamento, non possono consegnare denaro ad uno Stato corrotto. Grazie anche a questo motivo, la metà dei tredici milioni di guatemaltechi vive con meno di due dollari al giorno.
Anche il narcotraffico gli soffierà sul collo. Solo pochi mesi fa uno dei deputati guatemaltechi fu il mandante dell´uccisione di tre colleghi del Salvador per una questione di droga. Insomma, il crimine organizzato è di casa in parlamento. Per riportare il Guatemala a galla, poi, l´ingegnere avrà bisogno di un’unità nazionale già che il suo partito non conta con la maggioranza in Congresso.
Compito duro, quello di Colom. La via guatemalteca alla socialdemocrazia per non essere un’utopia avrà bisogno anche di molta, ma molta fortuna.

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Friday, January 11, 2008

Clara e Consuelo tornano a casa

Alla fine abbiamo tirato tutti un sospiro di sollievo. Clara Rojas e Consuelo González sono tornate a casa, liberate dalle Farc e ricevute prima dalla Croce Rossa e poi dagli inviati di Hugo Chávez. La televisione è stata presente in ogni istante dell’atto. Telesur ci ha mostrato gli attimi della liberazione, con i soldati delle Farc –tra cui un paio di donne- che sbucavano dalla foresta e consegnavano la Rojas e la González –un poco sciupate, ma in buona forma- agli inviati. Strette di mano, abbracci, auguri di buon anno: tutto, insomma, all’insegna del vogliamoci bene. Quelli delle Farc non hanno nemmeno avuto la precauzione di apparire mascherati, tanto il clima era rilassato (il video in forma ridotta in Italia l´ha prontamente pubblicato il “Corriere”, la versione di più di sette minuti si trova invece su youtube: http://www.youtube.com/watch?v=11miUGIPAoY).
Poi, il volo verso Caracas. Fuori dal palazzo di Miraflores, tra il garrire delle bandiere di Venezuela e Colombia, Chávez ha abbracciato le due, ha preso in braccio la nipotina della González (in mancanza di Emmanuel) ed ha dato inizio al protocollo. Foto, inni nazionali, battute, con la nota stonata della Piedad Córdoba che spinge Clara Rojas in seconda fila per assicurarsi i flash. Poi, tutti dentro per la conferenza stampa, con i ringraziamenti di dovere per Chávez, la Córdoba e tutti quanti si sono adoperati per la liberazione.

In serata, si attende la dichiarazione di Uribe. Sarà interessante ascoltare quello che dice per vedere se ci troviamo davvero all'inizio di un processo di distensione. Clara Rojas ha già assicurato che almeno sedici ostaggi –quelli con cui ha avuto contatto- sono ancora vivi.
Sarà comunque un compito arduo riportarli a casa.

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Thursday, January 10, 2008

È cominciato "Diarios"

È iniziata su Marco Polo Tv la serie “Diarios” condotta da Federico Geremei, un viaggiatore dei nostri tempi, che ha il pregio del saper raccontare senza sensazionalismi i fatti e le storie con cui si incontra.
Si tratta di sessanta appuntamenti giornalieri sul Centroamerica, un viaggio che comincia da Panama e che risale l’istmo fino al Belize, toccando una grande varietà di temi, i più sconosciuti al pubblico televisivo. È un’occasione unica, da non perdere, per una immersione nella realtà centroamericana, di cui in Italia si parla davvero poco.
Federico, in un percorso di due mesi, ci porterà tra gli indios Kuna, nella comunità italiana di San Vito nel cuore della Costa Rica, tra i quaccheri di Monteverde, nella Miskitia; visiterà le città storiche come Antigua, León e Granada ed intervisterà personaggi che hanno fatto la storia recente di questa regione, come Ernesto Cardenal o Sergio Ramírez. Naturalmente, ci sarà molto di più di quanto qui annunciato, da vedere e da ascoltare.
“Diarios” va in onda alle undici di sera, per gli orari delle repliche vi rimando alla pagina internet:
http://diarios.federicogeremei.tv/home.php
Il link di Marco Polo: http://www.marcopolo.tv/

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Friday, January 04, 2008

Mapuche: la lunga strada dei diritti

L’uccisione di un giovane mapuche durante uno sgombero da parte dei carabineros ha riportato l’attenzione dei media sulla situazione degli indigeni cileni. Gli incidenti si sono tenuti nei pressi di Temuco, all’esterno di una hacienda presidiata dalle forze dell’ordine. I Mapuche da tempo stanno cercando di riappropriarsi del sistema di proprietà comunitario che caratterizza la loro cultura, ma per questo sono perseguiti dalle autorità. Secondo un’intervista rilasciata da uno dei dimostranti a Radio Bío Bío, i carabinieri hanno aperto il fuoco per disperdere un gruppo di una trentina di giovani armati di bastoni che cercavano di entrare nella hacienda Santa Margarita.
Il governo cileno sinora si è sempre negato a organizzare un tavolo di negoziati, disconoscendo di fatto le pretese dei leader indigeni.
L’uccisione di Matías Catrileo è solo l’ultimo atto dello scontro tra Stato e comunità indigene. Lo sciopero della fame, che dura ormai da novanta giorni, sta portando ad un passo dalla morte Patricia Troncoso, uno degli attivisti Mapuche per cui vennero applicate le leggi anti-terrorismo volute da Pinochet. Tutto nel democratico Cile della Bachelet, che sul problema Mapuche non ha mai avuto l’intenzione di fare delle concessioni, dimostrando quanto la presidente conti più sullo statalismo che sul socialismo. Da tempo i rappresentanti delle comunità indigene chiedono un’apertura al dialogo ma il Cile, firmatario della Carta dei diritti indigeni delle Nazioni Unite, non ha dimostrato alcuna volontà di sedersi ad un tavolo di trattative.
La situazione è più che allarmante. Il presidente di Amnesty International in Cile –Karl Bohmer- si è detto preoccupato del costante uso della forza fatto dai carabineros contro i dimostranti mapuche. La repressione, rigurgito della tradizione fascista della polizia cilena, rimane un problema irrisolto almeno per queste comunità contadine.
Sulle condizioni di Patricia Troncoso, i link dei siti mapuche:
http://www.mapuche.info/
http://www.mapuche-nation.org/espanol/indice.htm

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