blog americalatina

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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Tuesday, October 30, 2007

Halloween vs. canzone creola

Halloween è dappertutto. Più appuntamento commerciale che festa pagana, la celebrazione di fine ottobre è diventata comune a tutta l’America Latina, con l’immancabile critica della Chiesa cattolica. In Messico ed in Argentina, in particolare, i vescovi avvertono i fedeli del carattere satanico della festa, che “sovverte la fede e la vita cristiana ed è un’espressione malefica di correnti sataniche” (inciso dell’Arcidiocesi messicana).
Sarà, ma a passare di porta in porta nel nostro quartiere a chiedere “trick or treat”, mio figlio ed io ci siamo divertiti parecchio. Più che un rito demoniaco, ci è sembrata una bella occasione per passare del tempo insieme.
Piuttosto, la polemica maggiore su Halloween è in Perù, dove la data del 31 ottobre si sovrappone al festival della Canzone creola, uno degli appuntamenti culturali più importanti d’America Latina. I locali si fanno la concorrenza ed i cantanti di questo genere –una vera e propria istituzione nel paese andino, al punto da ricevere anche una pensione statale- hanno cercato in tutti i modi di arginare, senza successo, il fenomeno Halloween. Tra le più agguerrite c’è Bartola, una delle interpreti rappresentative del genere:
http://es.youtube.com/watch?v=_uaB0iYnq6s
Un blog sulla musica creola peruviana: http://nuestramusicasepasa.blogspot.com/

Tornando su Habacuc, è di ieri la notizia che il Costa Rica manderà comunque questo artista alla Biennale centroamericana d’arte, nonostante il cane e la petizione che viaggia ormai sulle 160.000 firme. Che dire?

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Friday, October 26, 2007

Arte da cani

Da qualche giorno gira sul sito di petitiononline una petizione contro Guillermo Vargas, un’artista del Costa Rica. Vargas, conosciuto come Habacuc, circa un mese fa durante una mostra a Managua utilizzò un cane raccolto per strada per simbolizzare una propria opera. Vargas legò il cane nella galleria e lo lasciò al proprio destino, volendo così dimostrare l’indifferenza della gente nei confronti non solo dell’animale, ma sul destino di qualsiasi essere, umano e no. Lo sfondo della provocazione era la morte in Costa Rica di Natividad Canda, un emigrato nicaraguense che viveva di piccoli furti ed espedienti. Durante un tentativo di furto in un’officina meccanica era stato sorpreso da due rottweiler e sbranato da questi, in un’agonia durata almeno un’ora, durante la quale nessuno –polizia compresa- era riuscito a salvargli la vita (per la cronaca: i cani assassini non sono stati sacrificati, ma fanno ancora la guardia all’officina).
Ora, lo scandalo sta nel fatto che il bastardino della mostra –immortalato nella foto a fianco- secondo alcune fonti sarebbe morto di fame, perchè nè Vargas nè il pubblico gli avrebbero dato da mangiare, come risulta sia dalla stampa nicaraguense che dal blog di Rodrigo Peñalba, che mostra anche varie foto del cane:
http://www.marcaacme.com/blogs/analog/index.php/2007/08/22/5_piezas_de_habacuc
Vargas non parla, mentre la curatrice della mostra, tenutasi alla galleria Códice, afferma invece che il cane è riuscito a scappare dopo tre giorni. A chi credere? Vedete voi, questi i fatti. Vargas si è comunque guadagnato una fama mondiale, non tanto come artista, come avrebbe voluto con la provocazione, ma per la sua completa mancanza di umanità, dimostrando di non essere poi tanto differente da quelli che non fecero nulla per salvare il ragazzo nicaraguense dai rottweiler.
Chi volesse firmare contro la partecipazione di Vargas alla Biennale centroamericana prevista in Honduras il prossimo anno può farlo su questo link:
http://www.petitiononline.com/13031953/petition.html
Al momento il veto ha raccolto più di centomila firme, molte delle quali provenienti dall’Italia.

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Tuesday, October 23, 2007

Dal Guatemala all'Iraq

La Prensa Libre del Guatemala ha pubblicato nella sua edizione domenicale le vicissitudini di “Jorge” un kaibil finito in Iraq a lavorare per una agenzia di sicurezza, la Your Solution per l’esattezza, responsabile di una delle ultime mattanze di civili.
I kaibiles sono le forze speciali dell’esercito guatemalteco che, rimasti senza lavoro, vengono contrattati come mercenari o come specialisti al soldo del narcotraffico.
“Jorge” racconta degli addestramenti clandestini in Honduras e di come gli sia stato inculcato come comportarsi in Iraq: “Tutti sono nemici –donne, uomini, bambini-, nel caso di un incidente bisogna uccidere”. Il prezzo delle stragi: uno stipendio di 2500 dollari al mese, sufficienti per tornare a casa e, con il quetzal svalutato, mettere su un negozio.
Il reportage:
http://www.prensalibre.com/pl/2007/octubre/21/185640.html

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Monday, October 22, 2007

Romero: una ferita aperta

Sono passati più di ventisette anni dalla morte di monsignor Romero, ucciso dagli sgherri di Roberto d’Aubuisson. La responsabilità dello Stato salvadoregno e dell’esercito (d’Aubuisson era maggiore) e la matrice politica (la destra lo voleva morto) non sono mai state un segreto su questo omicidio eccellente. I salvadoregni l’hanno sempre saputo e la destra –rappresentata da Arena, il partito fondato da d’Aubuisson stesso e al potere da quando è finita la guerra civile- si è sempre vantata di averlo fatto fuori.
L’arcivescovo di San Salvador, Fernando Sáenz Lacalle, ha chiesto ora che lo Stato si assuma le responsabilità di quell’assassinio. Con lui, e con la Commissione Interamericana per i diritti umani, si sono schierate un’ottantina di associazioni e lo Stato salvadoregno questa volta si è dovuto almeno sedere ad un tavolo per trattare.
È la prima volta che questo avviene da quando, sette anni fa, la Commissione Interamericana per i diritti umani, suggerì ai rappresentanti del Salvador di realizzare un’inchiesta esauriente sul crimine di monsignor Romero –gli autori materiali sono stati identificati, ma si tratta di dare ufficialità ai mandanti-, così come di varare una legislazione che censurasse la legge di amnistia che ha perdonato centinaia di criminali della guerra civile. Se su Romero c’è una timida apertura, per il momento sull’abrogazione della Legge sull’amnistia è buio completo. Sia Arena che l’oppositore Frente Farabundo Martí non hanno alcun interesse che le ferite della guerra vengano riaperte. I criminali, in fondo, sono proprio lì, seduti nel Congresso o nei posti di comando del Salvador della democrazia e della libertà.
Il documento della Commissione per la verità sui crimini di guerra nel Salvador:
http://virtual.ues.edu.sv/ce/comision/index.html


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Wednesday, October 17, 2007

Bachelet in Italia, silenzio sui Mapuche

Michelle Bachelet è in visita ufficiale in Italia. Un episodio, non riportato dai mezzi di informazione locali, ci viene segnalato da Jorge Calbucura, già che due attivisti mapuche, che attendevano l’arrivo della Bachelet all’ingresso della Facoltà di filosofia di Roma con dei cartelli, sono stati fermati e portati in Questura. I mapuche, secondo le fonti dell’ambasciata cilena, sono potenzialmente pericolosi, per cui è stato chiesto che gli venga negato il diritto di manifestare. La Polizia italiana, che se ne intende di reprimere, ha obbedito. Per la Bachelet, insomma, si “pulisce” la strada e si fa finta che tutto funzioni bene nel Cile illuminato della Concertazione. Il dissenso dei Mapuche stona con la laurea a honoris in medicina e con i bei discorsi sui diritti umani fatti a Siena. Conviene a tutti, governo italiano e cileno, parlamento europeo, fare finta che questo dissenso non esista.
L’articolo, in spagnolo, con la documentazione fotografica del fatto, si trova su questo link:
http://www.mapuche.info/mapu/euromapu071017.html

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Tuesday, October 16, 2007

Dal Fujian all'America

Negli ultimi dieci anni, stime ufficiali degli osservatori sulle migrazioni, dicono che almeno trenta milioni di cinesi hanno abbandonato la regione del Fujian per l’America e l’Europa. Il traffico di queste persone è gestito dalle potenti mafie cinesi, che contano con sicure basi in Perù, Ecuador e nei paesi centroamericani. Su Narcomafie di ottobre (http://www.narcomafie.it/) ho cercato di descrivere come avviene questa tratta che interessa giornalmente migliaia di schiavi moderni. Sullo stesso numero, Adriana Rossi parla di come gli spacciatori peruviani si stiano impadronendo delle strade di Buenos Aires.
Sul versante Italia, Chiesa e mafia, le strategie di Cosa Nostra sul controllo dell’informazione, un ritratto sulla ‘ndrangheta in Piemonte, fotoinchiesta sui gitani. Buona lettura.

Monday, October 15, 2007

La statua di Vicente I

Vicente Fox probabilmente crede di essere un condottiero o uno di quei monarchi assolutisti del XVIII secolo europeo. Invece, non è altro che l’espressione della mediocrità della nostra epoca. L’impiegato modello assurto a politico e quindi a presidente ricorda certi imbonitori delle nostre parti a ricordarci che tutto il mondo è paese.
Fox non è stato un presidente da ricordare, ma forse proprio per questo i suoi partitari non perdono tempo e perchè ne rimanga comunque memoria, senza nemmeno aspettare la sua dipartita –o almeno una malattia terminale- gli hanno eretto una statua. In Messico, dove gli estremi sono all’ordine del giorno, il senso della misura è nel caso di Fox inversamente proporzionale a quello del ridicolo.
Il Fox di bronzo –per la cronaca si trova a Veracruz- non è durato molto. Dopo poche ore era già sul marciapiede, privo di una mano e ricoperto di uova marce. I fans dell’ex presidente non si sono persi d’animo e sono tornati a riporre la statua, questa volta protetti dalla polizia. Ora, per mantenerla intatta si alterneranno in picchetti. Una lettura della storia romana e dei problemi derivanti dall’erigere statue con il rappresentato ancora in vita, avrebbe evitato ai seguaci di Fox un sacco di guai. Il video delle proteste su Antena 3:
http://www.antena3.com/a3noticias/servlet/Noticias?destino=../a3n/noticia/noticia.jsp&sidicom=si&id=13185310

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Friday, October 12, 2007

12 ottobre 1492

Esto que se sigue son palabras formales del Almirante, en su libro de su primera navegación y descubrimiento de estas Indias. «Yo (dice él), porque nos tuviesen mucha amistad, porque conocí que era gente que mejor se libraría y convertiría a nuestra Santa Fe con amor que no por fuerza, les di a algunos de ellos unos bonetes colorados y unas cuentas de vidrio que se ponían al pescuezo, y otras cosas muchas de poco valor, con que hobieron mucho placer y quedaron tanto nuestros que era maravilla. Los cuales después venían a las barcas de los navíos adonde nos estábamos, nadando, y nos traían papagayos y hilo de algodón en ovillos y azagayas y otras cosas muchas, y nos las trocaban por otras cosas que nos les dábamos, como cuentecillas de vidrio y cascabeles. En fin, todo tomaban y daban de aquello que tenían de buena voluntad. Mas me pareció que era gente muy pobre de todo. Ellos andan todos desnudos como su madre los parió, y también las mujeres, aunque no vide más de una farto moza. Y todos los que yo vi eran todos mancebos, que ninguno vide de edad de más de treinta años: muy bien hechos, de muy fermosos cuerpos y muy buenas caras: los cabellos gruesos cuasi como sedas de cola de caballos, e cortos: los cabellos traen por encima de las cejas, salvo unos pocos de tras que traen largos, que jamás cortan. Dellos se pintan de prieto, y ellos son de la color de los canarios, ni negros ni blancos, y dellos se pintan de blanco, y dellos de colorado, y dellos de lo que fallan, y dellos se pintan las caras, y dellos todo el cuerpo, y dellos solos los ojos, y dellos sólo el nariz. Ellos no traen armas ni las conocen, porque les amostré espadas y las tomaban por el filo y se cortaban con ignorancia. No tienen algún fierro: sus azagayas son unas varas sin fierro, y algunas de ellas tienen al cabo un diente de pece, y otras de otras cosas. Ellos todos a una mano son de buena estatura de grandeza y buenos gestos, bien hechos. Yo vide algunos que tenían señales de feridas en sus cuerpos, y les hice señas qué era aquello, y ellos me amostraron cómo allí venían gente de otras islas que estaban acerca y les querían tomar y se defendían. Y yo creí e creo que aquí vienen de tierra firme a tomarlos por captivos. Ellos deben ser buenos servidores y de buen ingenio, que veo que muy presto dicen todo lo que les decía, y creo que ligeramente se harían cristianos; que me pareció que ninguna secta tenían. Yo, placiendo a Nuestro Señor, llevaré de aquí al tiempo de mi partida seis a V. A. para que deprendan fablar. Ninguna bestia de ninguna manera vide, salvo papagayos en esta isla». Todas son palabras del Almirante.

Tuesday, October 09, 2007

I 40 anni del Che

La moda degli anniversari (perchè ormai è diventata una moda per vendere qualsiasi cosa) non poteva tralasciare Ernesto Che Guevara. Il 9 ottobre si contano quaranta anni dalla sua morte in Bolivia e il passare del tempo ha sconvolto il mito, fino all’estremo, del rivoluzionario argentino. L’immagine di Che Guevara è diventata un simbolo, uno dei più conosciuti e riconoscibili del nostro tempo, ma un simbolo logorato dall’alto ed indiscriminato uso che se ne fa.
Che Guevara è diventato un prodotto che, nell’immaginario limitato della massa dei fruitori, semplifica il concetto della rivoluzione. Anzi, Che Guevara è la rivoluzione, così come Armani è moda, Beckham è calcio, Britney Spears è gossip. Triste, ma vero. Tutti noi, seppur repressi dalle leggi della società e del vivere in comune, ci sentiamo dei ribelli. Magari non siamo mai andati ad una manifestazione, però una volta abbiamo bisticciato con la signorina dell’agenzia di servizi per la telefonia cellulare e questo è sufficiente per farci pensare di avere “l’urlo nella pelle”, come gridavano gli Skiantos.
Questa è la nostra rivolta, il leone che dorme sopito dentro di noi.
Chi meglio della pubblicità capisce questo? Che Guevara è diventato il personaggio ideale per uno spot pubblicitario e per la nostra sete di ribellione, mai doma ma nemmeno quasi mai espressa. Il Che è uno specchio, dove possiamo ammirare il nostro io ribelle addormentato.Il vero Che Guevara, intanto, si dissolve. Nella pioggia mediatica e nell’uso indiscriminato della sua immagine, l’attuare del Che si sbriciola ed anche i tentativi di ristabilire un poco di verità storica si schiantano contro l’ingannevole muraglia del sistema di consumo. E più passa il tempo, più l’umanità di Che Guevara scompare, travolta non solo dal fluire degli anni, ma anche e soprattutto dalla banalità della mistificazione mercantile.

Monday, October 08, 2007

Cafta Costa Rica: vince il Sì

Ha vinto il Sì, ma quelli del No non ci stanno. Ottón Solís –maggiore esponente del No- che aveva perso per una manciata di voti la presidenza poco meno di due anni fa, non ha riconosciuto il risultato del referendum e per pronunciarsi aspetta che i suoi ricontino le schede una per una. Secondo lui ci sarebbero delle anomalie, ma per il momento non ci è dato di sapere quali.
L’Osa e gli osservatori internazionali (93 in totale) hanno certificato la trasparenza del referendum, per cui appare poco probabile che il reclamo del No possa avere seguito. Piuttosto, la ratifica avrà ancora vita dura, visto che i deputati del Pac (il partito di Solís) non hanno intenzione di fare passare nel Congresso il pacchetto di tredici leggi obbligatorie che viene con il Cafta.
I risultati finali e parziali per provincia li potete trovare su:
http://www.tse.go.cr/
Da notare che sulle sette province, quattro sono state a favore del Cafta, tre contro (Alajuela, Guanacaste, Puntarenas) a testimonianza della marcata differenza di opinioni sul trattato. La giornata è trascorsa quasi ovunque con calma fino al conteggio. Poi, i risultati hanno scaldato gli animi e mentre Solís, il rettore dell’Istituto Tecnologico e i sindacalisti procedevano ad emettere un comunicato comune, un gruppo di studenti ha sollevato una barricata, bruciando bandiere del Sì e cercando di irrompere nella sede del Tribunale elettorale. Un pessimo finale dopo un buon inizio. Il presidente Árias ha parlato alla nazione quando ancora lo scrutinio non era terminato e, in un discorso carico di retorica, ha chiesto unità e rispetto del risultato delle urne. Facile da dire, meno da mettere in atto. L’unica cosa sicura è che appunto ci sarà ancora battaglia, soprattutto sul fronte legislativo ed il tempo stringe: il primo marzo 2008 se non c’è ratifica, la Costa Rica sarà comunque fuori dal Cafta.

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Thursday, October 04, 2007

Costa Rica: occhio ai sondaggi

Mancano tre giorni al referendum in Costa Rica e la pubblicazione dell’ultimo sondaggio, stilato da Unimer, riporta per la prima volta un ampio vantaggio del No al Cafta. I numeri dicono che il rifiuto al trattato vincerebbe domenica con un facile 55%, su un Sí che ha perso credibilità con il passare dei giorni e che si attesterebbe su un 43%. Inoltre, a differenza delle passate elezioni presidenziali, che avevano fatto registrare un diffuso astensionismo –il voto non è obbligatorio-, questa volta andrebbe alle urne almeno il 66% degli elettori.
Domenica scorsa la manifestazione di chiusura della campagna del No ha praticamente inondato la capitale San José, avvenimento mai successo per nessun candidato presidenziale. Secondo gli analisti il cambio di tendenza è avvenuto grazie a che la grande massa degli indecisi ha infine preso posizione. Il bieco memorandum dell’ormai ex vicepresidente Kevin Casas, che invitava a lanciare una campagna sporca, e l’invito di una parte consistente dei sacerdoti cattolici a votare per il No sono indicati come i due fattori che hanno destabilizzato quella che sembrava una facile vittoria per il Sí.
Ciò nonostante, prudenza. Negli anni passati i sondaggi dell’ultimo momento sono stati usati per condizionare le scelte degli elettori. In questo caso, potrebbe trattarsi di un segnale per spezzare il fronte del No: di fronte a un sondaggio che dà un ampio vantaggio contro il Cafta, gli elettori del No sentendo la vittoria in tasca potrebbero non andare a votare, mentre quelli che appoggiano il Sì, vedendosi vicini alla sconfitta, correrebbero in massa alle urne. Questo giochino è costato la presidenza negli anni passati a Corrales e Araya e quasi ad Árias.
Insomma, tutto è ancora da decidere.

Sulla vicenda del piombo nel Salvador, il link dell’approfondimento pubblicato su Peaceporter:
http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=16&idart=8876

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