blog americalatina

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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Wednesday, August 29, 2007

Diario se ne va

L’avventura è finita. Diario se ne va, sospende le pubblicazioni per dirla in una maniera cortese. Brutta notizia per i lettori, per l’editoria italiana, per noi che da anni ci abbiamo scritto con regolarità e con passione. Brutta notizia per tutti, insomma.
Pochi anni fa, di questi tempi, la sezione internazionale vinceva il Prix de la Guide de la Presse. I migliori del mondo, niente male come riconoscimento per il plotone di corrispondenti esteri dispersi in ogni angolo del pianeta. Mai una riunione di redazione per noi, poche dritte –da parte di Alessandro Marzo Magno- ma efficaci; buoni articoli, reportage e storie sconosciute portate alla luce con tenacia. Il successo si basava su una regola semplice, quella dettata dal giornalismo di denuncia valido dalla Bovisa alla Terra del Fuoco.
Una regola, però, che non paga in termini economici, perchè quando parli male del mercato, il mercato non ti fa arrivare i soldoni –le pagine di pubblicità- che poi servono per mantenerti a galla. Ma il sostegno è mancato anche e soprattutto da quella sinistra eterogenea che Diario ha voluto rappresentare e con la quale, secondo i temi ed i tempi, è entrato periodicamente in polemica. Paradossalmente, finchè c’è stato Berlusconi da criticare tutto è andato bene, ma a partire da Prodi è cominciato lo sfacelo. Ci sono delle colpe? Certo. Dal singolo lettore alle lobby che stanno a sinistra nessuno ha mosso una mano per fare sì che il settimanale si salvasse dal tracollo.
Perchè volete un’informazione controcorrente, fuori dal coro e –permettetemi- anche intelligente, se poi non la usate? Questo dimostra ancora una volta come la nostra sinistra navighi nella più completa improvvisazione: Diario era una voce autorevole di tutta la cultura italiana, un patrimonio della sinistra, ed è stato abbandonato. Complimenti.
Averci scritto per sette anni è stato un onore ed un viaggio che mi ha accompagnato anche nella mia storia personale in America Latina. Rimarranno nella memoria tanti buoni momenti e la consapevolezza di avere avuto come colleghi degli autorevoli conoscitori della realtà latinoamericana, da Dante Liano a Gabriella Saba – per citarne alcuni- e a quell’Enzo Baldoni che, proprio prima di andare a morire in Iraq, era stato prima da Marcos e poi in Colombia. Proprio in questi giorni si compiono tre anni dalla sua scomparsa e su Enzo continua il disinteresse delle nostre autorità: disinteresse fin dai primi momenti del suo sequestro e che dura ancora oggi, con la Farnesina incapace di farsi restituire il corpo (l’appello al presidente Napolitano dal sito di Pino Scaccia:
http://pinoscaccia.splinder.com/post/13559979/Appello+per+il+presidente+Napo)
È finita, quindi. Il plotone dei corrispondenti esteri si disperde, ma non dimenticherà mai di avere fatto parte di una grande avventura.
Un’ultima considerazione: Diario chiude. Libero continua a pubblicare spazzatura. È la fotografia dell’Italia di inizio secolo.
Due link:
http://invisibil.blogspot.com/2007/08/diario-allultima-pagina.htmlhttp://www.andreafannini.it/blog/2007/08/diario-chiude-tornera/

Monday, August 27, 2007

Guatemala: la morte sulle elezioni

Si avvicinano le elezioni guatemalteche del 9 settembre. Cinque sono i candidati più accreditati, ma numeri alla mano, i sondaggi stanno dando Álvaro Colom e Otto Pérez come i possibili sfidanti per la presidenza. La formula di Rigoberta Menchú –che dispone di un grande prestigio internazionale, ma di poca fiducia in casa- non ha incantato i guatemaltechi: anche nell’atto finale della sua campagna è riuscita a riunire solo poche migliaia di simpatizzanti, termometro che la Menchú rimane lontana dal ballottaggio.
A due settimane dal voto, il Guatemala ha dimostrato ancora una volta la terribile immaturità della sua vita democratica, acquistata con tanta difficoltà al finire il 1996. Undici anni dopo la firma dei trattati di pace, il Paese non esce dal tunnel. Le istituzioni democratiche vengono messe a dura prova giorno dopo giorno da narcotraffico, violenza tra bande, gruppi di potere che mantengono il Guatemala sommerso nella miseria e nell’ignoranza. Le violazioni ai diritti umani sono costanti ed il processo elettorale non è stata l’eccezione: fino ad oggi si sono contati una quarantina di morti, la maggior parte dell’Une (Unidad Nacional de Esperanza), il partito di Colom.
Solo nell’ultima settimana ad essere colpiti sono stati i figli di due influenti rappresentanti del partito, Héctor Montenegro e Amilcar Méndez, uccisi in agguati dallo stampo mafioso. Non c’è dubbio che la proposta socialdemocratica di Colom spaventa la destra, abituata da queste parti a fare ciò che gli pare. A mancanza delle garanzie istituzionali, valgono sempre gli antichi metodi: violenza, uccisioni, repressione.
Il sito della Une:
http://www.une.org.gt/
Il tribunale elettorale: http://www.tse.org.gt/

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Thursday, August 23, 2007

Pisco, la città fantasma

Sarà Pisco destinata a diventare una città fantasma?. Al momento sembra di sì. Il terremoto della settimana scorsa ha reso inabitabile quasi l’85% della città, che prima del disastro faceva 130.000 abitanti.
Dopo aver atteso per giorni l’intervento delle autorità, la gente di Pisco ha iniziato la lenta fuga verso la capitale Lima o verso altre città, dove può contare con l’aiuto di parenti e amici. Secondo stime della Protezione civile peruviana, almeno la metà della popolazione ha ormai abbandonato Pisco, provata dalla mancanza di ogni genere di conforto e dalle continue repliche del terremoto. Ad una settimana dal sisma, le autorità peruviane sono riuscite a sistemare nei rifugi della zona solo 23.000 persone: per le altre rimane solo l’opzione della fuga. L’anarchia regna. Sparatorie, saccheggi, gli aiuti che non giungono a destinazione, accuse e l’amara sensazione che sulla pelle di chi ha perso tutto siano in molti a volerci guadagnare. L’esercito che imbosca gli aiuti, il presidente García che approfitta per dare sfogo alla sua sterile retorica, Ollanta Humala con Hugo Chávez, che lucrano sulle disgrazie altrui per un poco di propaganda: la loro immagine campeggia su migliaia di lattine di tonno consegnate dal governo venezuelano ai senzatetto (
http://pospost.blogspot.com/2007/08/las-latas-de-chvez-y-humala-en-la.html). Provocazione o no, questo è il clima che si respira nel dopo terremoto. Pisco, intanto si spopola.
Come aiutare i senzatetto: http://www.rpp.com.pe/portada/nacional/92832_1.php

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Tuesday, August 21, 2007

Elvira torna in Messico

Elvira Arellano, simbolo della lotta per i diritti umani degli emigrati –legali e non- negli Stati Uniti, è stata infine arrestata e rispedita in Messico. Da un anno Elvira viveva all’interno di una chiesa di Chicago per evitare la deportazione voluta dalla legge statunitense, sebbene avesse lavorato per nove anni in un’impresa di pulizie per aerei e abbia messo al mondo un figlio statunitense, Saúl.
Per il suo arresto le autorità hanno messo in campo un’operazione senza precedenti, con decine di agenti impegnati e l’appoggio di elicotteri. La donna, infatti, è stata fermata quando cercava rifugio in un’altra chiesa di Los Angeles, dove intendeva continuare la sua protesta. Lo spiegamento di forze è stato giudicato ridicolo da quasi tutti i media, così come il comunicato emesso dal Servizio di migrazione (ICE) che ha riportato, durante la conferenza stampa, della “cattura di una straniera in fuga, una delinquente che per un anno ha evaso le leggi federali”.
Elvira Arellano viene tacciata di criminale per aver usato un’identità falsa per poter lavorare pulendo i bagni e gli aerei dell’aeroporto O’Hare di Chicago. La Arellano aveva lasciato la chiesa di Chicago per presentarsi il 12 settembre a Washington e partecipare ad una veglia di preghiera a favore di tutti i lavoratori illegali negli Stati Uniti. Da lì, avrebbe cercato di parlare a diverse platee in differenti città degli Usa, passando da New York al Texas e alla California. Da qui il timore delle autorità che il tour della Arellano, diventata nel frattempo attivista di Familia Latina Unida, potesse trasformarsi in un fenomeno mediatico in grado di ridicolizzare la riforma migratoria su cui il governo Bush sta spendendo tantissime risorse.
Elvira non rinuncerà alla sua lotta. Da Tijuana, dove è stata consegnata alle autorità messicane, ha detto che il suo appoggio per i diritti civili degli emigrati avrà sempre un testimone d’eccezione. Si tratta di suo figlio Saúl, di nove anni, statunitense a tutti gli effetti che parteciperà a tutti gli eventi contro la riforma migratoria di Bush.
Qui, il messaggio di Elvira:
http://www.somosunpueblo.com/UNIR%20Y%20ENFOCAR.html

La foto di Elvira è di Muskito. Dello stesso fotografo, galleria delle manifestazioni a Los Angeles: http://www.flickr.com/photos/muskito/

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Friday, August 17, 2007

Il terremoto in Perù

È stato un terremoto spaventoso quello che ha colpito il Perù l’altra sera. Due minuti interminabili, di un’onda devastante che non si voleva calmare e che alzava ed abbassava la terra come si fosse trattato di un fuscello. Abbiamo potuto vederlo in televisione, quasi in diretta e dai bollettini abbiamo capito che di ora in ora il bilancio sarebbe stato sempre più tragico.
Il prefetto di Ica e le autorità di Chincha e di Pisco, le località più colpite, parlavano della loro impossibilità di portare un pronto aiuto ai dannificati, già che il sistema telefonico e quello dell’elettricità erano subito collassati. Con il mattino, con la luce, è apparsa anche la portata della tragedia che finora, oltre a ingenti danni materiali, è costata cinquecento vite umane.
Su tutta la costa del Pacifico dal Perù sino qui da noi in Costa Rica è scattato l’allarme tsunami, rientrato poi nelle ore della notte. Questo non ha impedito che varie località marittime siano state evacuate e che la gente abbia fatto ritorno nelle proprie case solo nelle ore mattutine.
Vi lascio con una serie di link su testimonianze di chi ha vissuto il terremoto:
http://blogs.elcomercio.com.pe/santalima/2007/08/
http://blog.veperu.com/archives/118#more-118
http://dttodo.blogspot.com/2007/08/terremoto-de-75-r-debasta-pisco-y.html
http://pueblovruto.blogspot.com/
Su you tube la diretta di un giornalista (spaventatissimo) che si apprestava a girare un servizio: http://es.youtube.com/watch?v=0QlQdGq4y68
Decine di esperienze personali possono essere invece trovate su: http://www.blogsperu.com/ o sulla concorrenza:
http://www.perublogs.com/
Reportage fotografici su flickr: http://www.flickr.com/search/?q=terremoto+peru
(La foto qui riportata è di Christian Vinces)

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Thursday, August 16, 2007

Info per chi va a Cuba

Rosanna ha postato un commento su una sua recente visita a Cuba, con dati che forse possono essere utili a quanti capitano su queste pagine. Vi passo il link, visto che l’articolo in questione già non si trova nella pagina principale:
http://luiro.blogspot.com/2007/07/1500-medici-da-cuba.html
Buona lettura.

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Wednesday, August 15, 2007

I 2000 giorni di Ingrid

Il sequestro di Ingrid Betancourt raggiunge giovedì i duemila giorni. La deputata verde venne rapita nel febbraio 2002 e da allora, sulla sua sorte, si sono susseguite le voci più disparate. In attesa di una sua liberazione, sono però quattro anni che le autorità o i familiari non ricevono una prova plausibile del suo stato di salute. L’ultimo video venne recapitato proprio nell’agosto del 2003, da allora testimoni o no, molti personaggi dicono di conoscere il destino della Betancourt.
Attendibile è risultata la testimonianza di John Pinchao, il soldato che scappò alla guerriglia lo scorso maggio, che disse di aver visto Ingrid viva e raccontò dei suoi tentativi di fuga. Meno attendibile la notizia divulgata attraverso El Nuevo País il 4 agosto scorso. Patricia Poleo, giornalista venezuelana esiliata a Miami, aveva sparato la bomba che la Betancourt si trovava in Venezuela e che presto sarebbe stata liberata, in una manifestazione di propaganda senza precedenti per il governo di Chávez. La Poleo è una profuga della giustizia venezuelana, implicata nel caso dell’assassinio del pm Danilo Anderson, eppure prima ancora di verificare quanto credibili siano le sue fonti, le agenzie di stampa di tutto il mondo propagarono la notizia che la liberazione della Betancourt era imminente. A distanza di dieci giorni non è successo nulla, la Poleo dopo aver ottenuto la pubblicità che cercava è tornata in riga e la Betancourt non è stata rilasciata: proprio un bel giornalismo.
L’unica realtà è che, nell’attesa di una liberazione che non viene, Ingrid Betancourt è passata ad essere da una persona in carne ed ossa ad una faccia su dei manifesti, la testimone della crudele logica dei sequestri delle Farc e di un pugno di ferro che tiene in ostaggio non solo i sequestrati, ma tutta la società civile colombiana. Giornalisti, mitomani, politici, spesso e a proposito dimenticano la dimensione della vicenda per trasformarla nel solito circo mediatico.

Il sito per la liberazione di Ingrid Betancourt: http://www.betancourt.info/indexEsp.htm
L’articolo della Poleo che ne annunciava la liberazione: http://doc.noticias24.com/0708/pp08.html

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Monday, August 13, 2007

La crociata di Lula

Lula sta viaggiando molto in questi ultimi mesi. Dall’Europa al continente americano, il presidente brasiliano non perde occasione e tribuna per dimostrare come il futuro del pianeta passi per il biocombustibile. L’equazione è semplice, anche troppo: la lotta alla povertà si vince usando l’etanolo, prodotto che guarda caso il suo Brasile fabbrica in grandi quantità.
La settimana scorsa Lula era in Centroamerica a cercare di convincere sia Calderón che Zelaya (Honduras) e Torrijos (Panama), ma soprattutto Daniel Ortega a passare dalla parte del biocombustibile. Non gli è andata molto bene, nonostante l’ex tornitore abbia più volte ricordato davanti ai giornalisti la vecchia amicizia che lo lega al leader sandinista. Tanti abbracci ed incontri all’insegna del “vogliamoci bene”, ma a parte quello Ortega preferisce tenersi stretto Chávez ed il tradizionale petrolio.
Non solo. Su etanolo e petrolio si gioca una partita speciale e in parte nuova, di come due leader della sinistra usino i mezzi di produzione per assumere il ruolo di leader in America Latina. Mentre Lula era in America Centrale, Chávez viaggiava in Argentina, Uruguay, Ecuador e Bolivia, riportando risultati senza dubbio più trascendentali.
Il Brasile torna alla base con le pive nel sacco (una pianta di etanolo è stata comunque inaugurata in Giamaica), ma tutto questo agitarsi sui biocombustibili e le sue vantate bontà mette alquanto a disagio. Il presidente brasiliano, mentre continua ad illustrare i lati positivi di questa energia, non risponde alle critiche sugli effetti che avrebbe sulle fonti di approvvigionamento alimentare. Anzi, perde spesso la pazienza, come se il rifiuto di bruciare mais per metterlo nel serbatoio di un’auto invece che mangiarselo, non fosse una lecita opposizione.Ortega pur nella sua verbosa dialettica, una cosa l’ha fatta capire nel suo rifiuto: lo zucchero ed il mais ci servono per alimentare i poveri.

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Tuesday, August 07, 2007

L'eredità tradita di Esquipulas

Sono passati venti anni dalla firma del trattato di pace di Esquipulas. Domani si celebra questo anniversario, che segnò l’inizio del processo di pace della regione centroamericana, con una manifestazione ufficiale in Costa Rica. Tra tutti i presidenti spicca l’assenza di Daniel Ortega, ufficialmente impegnato a ricevere Lula a Managua, ma la cui reticenza ad incontrarsi con suo vicino, Oscar Arias, è ormai diventata celebre.
Differenze a parte, i due decenni trascorsi hanno dato maniera di vedere un Centroamerica cambiato, dove l’equazione pace uguale sviluppo non ha sempre dato il risultato atteso. Sono scomparsi gli estremi dittatoriali, c’è attenzione al rispetto dei diritti umani, democrazia e pluralismo politico si sono imposti, sebbene in processi lenti e che spesso si sono scontrati con il risentimento dei gruppi di potere. La macchina, però, nel suo insieme, funziona male, al punto che viene spontaneo chiedersi, quale sia stato il prezzo dello sviluppo.
La pacificazione ha portato all’accettazione del sistema economico neo liberale senza riserve, con il risultato di un peggioramento delle condizioni sociali dei paesi centroamericani. Le economie sono cresciute allo stesso tempo dell’irresponsabile mancanza di previdenza e di investimenti nel materiale più importante di qualsiasi economia e società: la gente. Gli indicatori generali sono migliorati, ma lo sforzo non è stato sufficiente. La breccia tra ricchi e poveri è aumentata e certe società, come quella guatemalteca e quella salvadoregna, sono degradate a tal punto che la maggioranza della popolazione vive in ostaggio di una delinquenza perniciosa e pericolosissima.
L’affanno di consegnare ogni settore della vita pubblica in mano privata ha svilito la presenza dello Stato al punto che le istituzioni vengono viste dai cittadini come associazioni a delinquere, dove è la corruzione a muovere le leve della relazione tra pubblico e privato.
L’errore generato da Esquipulas è stato proprio questo: credere che la soluzione ai mali del Centroamerica fosse lasciare il campo aperto all’impresa privata. I politici si sono trasformati in mercanti inibendo, con la loro attitudine, la crescita dello Stato come struttura ed entità democraticamente forte. La debolezza delle strutture statali si è amplificata nelle relazioni tra le nazioni, che sono state incapaci sinora di creare degli strumenti comuni validi per migliorare la vita dei cittadini, combattere la delinquenza ed il narcotraffico, facilitare il commercio o il trasporto all’interno della regione, favorire politiche sociali ed ambientali.
Il caso della Costa Rica è ormai lampante. Pur promuovendo il processo di pace, al punto di impossessarsi del Nobel che ne conseguì, successivamente non ha mai voluto saperne di aprire le proprie frontiere ad un’unione regionale di fatto. Il Parlacen (il parlamento centroamericano) è rimasto lettera morta, mentre altre iniziative, come il Tribunale Centroamericano di Giustizia, zoppicano proprio a causa della mancanza di quorum. In questo panorama il Cafta e il Plan Puebla Panamá rischiano solo di trasformarsi in sterili colossi economici, capaci solo di retroalimentare i grandi capitali che vi vengono e vi verranno iniettati, lasciando alle realtà locali solamente le briciole o, peggio, forti danni da pagare.
Non si possono però addossare le colpe della fallita coesione regionale solo alla Costa Rica. Tutti i paesi della regione hanno le proprie responsabilità, Nicaragua sandinista compreso, per una semplice ragione. Esquipulas aveva seminato una speranza: a raccoglierla, però, sono stati i pìù scaltri, gruppi di potere vecchi e nuovi che l’hanno trasformata in un’occasione di affari.
Buone vacanze a chi in vacanza ci va. Mi assenterò una settimana, per lavoro. Ci risentiremo tra pochi giorni.

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Friday, August 03, 2007

Una segnalazione

Sonora ed il narcotraffico, questo il tema del reportage che pubblico sul numero di luglio/agosto di Narcomafie. L’articolo prende spunto dall’attacco che la notte del 16 maggio passato ha subito Cananea, una cittadina messicana di circa trentamila abitanti, vicina al confine con l’Arizona, da parte di una sessantina di narcotrafficanti assoldati dal cartello del Golfo. L’anteprima è su questo link: (http://www.narcomafie.it/articoli_2007/art4_7_2007.htm).
Narcomafie su questo numero ospita, tra i differenti articoli, un’inchiesta sulla camorra a Napoli ed un vasto reportage di Lucia Vastano sull’India. Per gli approfondimenti sulla rivista, vi rimando al link principale:
http://www.narcomafie.it

Thursday, August 02, 2007

Giunge a Bogotà il camminatore pacifista

Gustavo Moncayo è arrivato alla fine a Bogotá. La sua meta finale è stata plaza Bolívar, dove la carovana che ha riunito chilometro dopo chilometro nella sua marcia per la pace si è incontrata con altre migliaia di persone che lo aspettavano.
Moncayo –professore che ha un figlio militare sequestrato dalle Farc- ha camminato per la pace, incatenato ed ammanettato, percorrendo in quarantasei giorni più di 900 chilometri attraverso la Colombia per portare un messaggio di pace e distensione tra le forze in lotta.
Il professore ha voluto dare un segnale alla Colombia sana e c’è riuscito a giudicare da quanti l'hanno seguito e con le bandiere bianche l'hanno ascoltato in piazza. È cosciente, però, che il suo non può essere solo un gesto destinato all’oblio e per questo ha deciso che d’ora in avanti vivrà nella stessa piazza Bolívar, di fronte al Congresso, per ricordare giorno dopo giorno l’impegno preso per la pace.
Il figlio di Moncayo è prigioniero delle Farc da dieci anni e da tempo il suo nome capeggia la lista degli ostaggi destinati ad essere liberati nel caso di uno scambio di prigionieri. Il professore parlerà ora con Uribe, poi inizierà il suo soggiorno forzato davanti al Congresso.
Il viaggio di Moncayo giorno per giorno:
http://www.elcolombiano.com/blogs/caminodelapaz/

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