blog americalatina

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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Saturday, June 30, 2007

La guerra di Rio

Rio aspetta i Giochi Panamericani (13-29 luglio) ma intanto la città è blindata, trasformata in zona di guerra dagli scontri tra i reparti speciali della polizia e le bande di narcotrafficanti delle favelas. Gli agenti pattugliano le strade in una calma tesa, dove la gente pretende di vivere una normalità che sembra ormai aver perso da tempo. I pattugliamenti proseguono infatti da due mesi e solo mercoledì scorso l’operazione nel quartiere di Penha ha lasciato come saldo diciannove morti. 1350 agenti, elicotteri e mezzi blindati hanno preso di assalto le favelas di Alemao scatenando una spietata caccia all’uomo durata dodici ore e che è terminata dopo ripetuti scontri a fuoco.
Da tempo, ormai, Rio ha perso la sua immagine di città da cartolina, per assumere invece i connotati di una delle più pericolose metropoli dell’America Latina. Nella città vive e si alimenta uno Stato parallelo, formato dai gruppi di narcotrafficanti che hanno imposto la loro legge e che hanno cancellato ogni lecito reclamo della società civile.
Secondo l’Onu a Rio si vive una situazione simile a quella in atto nella Striscia di Gaza, dove le scaramucce, gli scontri e gli omicidi sono all’ordine del giorno, con in mezzo i bambini sfruttati dalla delinquenza e vessati dalle autorità; ma tutta la popolazione civile, in generale, è ostaggio di questo perverso sistema.

La polizia, intanto, promette altre azioni di forza prima dell’inizio dei Giochi, che accoglieranno cinquemila atleti di tutta l’America e quasi un milione di turisti.

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Thursday, June 28, 2007

Colombia, proibito informare

Per le autorità colombiane, informare è una attività illecita. Con questa conclusione, una troupe della televisione ecuadoriana Ecuavisa (http://www.ecuavisa.com/)
è stata prima arrestata e poi espulsa dalla Colombia.
L’incidente è seguito all’inchiesta che la troupe –composta da due giornalisti, un cameraman ed un tecnico- stava svolgendo nella regione di Putumayo per investigare la morte di un ecuadoriano per mano dei militari.
Secondo l’esercito colombiano –autore anche dell’arresto della troupe- l’ecuadoriano ucciso era un combattente delle Farc, notizia smentita invece dalla famiglia. I vicini del posto assicurano che i soldati colombiani avrebbero ucciso deliberatamente quattro contadini scambiandoli per nemici. Da qui le ritorsioni contro i giornalisti di Ecuavisa. Freddy Barros, uno dei reporter, afferma che il loro arresto è avvenuto quando avevano già terminato il loro lavoro di riprese ed interviste. Portati in una caserma, alcuni militari ed agenti del Das li hanno obbligati a distruggere quanto filmato,dove si dimostrava che l’ecuadoriano morto –José Quezada- era in effetti un agricoltore.
La detenzione e l’espulsione sono state giustificate dalle autorità colombiane che ritengono che la troupe abbia svolto nel Putumayo attività illegali: informare, appunto.
Nonostante la grossa problematica della zona, dove Farc, narcotraffico ed esercito si fronteggiano in una lotta senza quartiere, colombiani ed ecuadoriani possono passare il confine liberamente. Da qui la protesta dei giornalisti di Ecuavisa per il loro arresto e per l’espulsione che gli vieta, per i prossimi cinque anni, di poter mettere piede in Colombia.

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Tuesday, June 26, 2007

Il candidato Fujimori

Alberto Fujimori. Ogni tanto si torna a parlare di lui, mentre i tempi per la richiesta di estradizione dal Cile al Perù si fanno lunghissimi. Secondo le autorità cilene, ci saremmo di nuovo, già che il giudice Orlando Alvarez deve deliberare sul caso giovedì, al suo rientro al lavoro. Abituati al tormentato iter delle giustizie latinoamericane ci sarebbe però da aspettarsi qualsiasi cosa.
Una svolta, infatti, potrebbe esserci, ma a favore dell’ex presidente peruviano. Mentre il giudice cileno era in vacanza (saggia decisione?) un gruppo dell’estrema destra giapponese ha invitato Fujimori a presentarsi nelle sue liste per le prossime elezioni del 29 luglio. Il Nuovo partito del popolo, il Kokumin Shinto, formato da dissidenti del partito di governo lo vuole come senatore.
Se così fosse il Giappone farebbe di tutto per riportarlo a casa. Le manovre diplomatiche, di fatto, sono già iniziate. Una nota della cancelleria giapponese ha suggerito infatti alle autorità cilene di ritardare la decisione sull’estradizione di Fujimori almeno fino a che si sia conclusa la visita di Michelle Bachelet in Giappone, prevista per i primi di settembre. La Bachelet va a Tokyo per siglare il trattato di libero commercio tra le due nazioni, un accordo prestigioso che non si vorrebbe veder macchiato dal caso Fujimori.
Ma El Chino, in fin dei conti, non lo vorrebbe nemmeno Alan García a Lima. Il presidente peruviano, infatti, ha ottenuto durante questo suo governo molti favori dai deputati fujimoristi, che lo hanno appoggiato in quasi tutte le sue richieste.
La patata bollente è in mano alla magistratura. Staremo a vedere quanto le pressioni politiche influiranno sulle decisioni dei prossimi giorni.

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Friday, June 22, 2007

Questione di limiti

Dopo la disputa tra Argentina e Uruguay, anche il Perù ha deciso di ricorrere alla Corte Internazionale dell’Aja per la risoluzione del conflitto sui limiti marittimi con il Cile. L’annuncio è stato dato dal presidente Alan García, che ha la facoltà di governare per decreto. I due paesi si contendono un’area marittima di 37.000 chilometri quadrati che il Cile reclama come propri per due trattati firmati nel 1952 e nel 1954. Il Perù replica che questi trattati regolavano le attività di pesca e non stabilivano un confine. Nel XIX secolo, il Perù ha perso un buona porzione del suo territorio meridionale a scapito del Cile in seguito alla guerra del Pacifico, scoppiata per motivi commerciali (lo sfruttamento dei giacimenti di nitrato di potassio e di rame). Nello stesso conflitto la Bolivia –alleata del Perù- perdette Antofagasta e quindi lo sbocco al mare. La Bolivia –che ora sta facendo pressioni per recuperare un corridoio marino- firmò la pace nel 1904; il Perù lo fece nel 1929, quarantasei anni dopo la fine della guerra.
In realtà, le differenze non si sono mai pacate e, a seconda del momento politico, c’è sempre chi alimenta il fuoco del nazionalismo. Ollanta Humala nella sua campagna per la presidenza aveva ricordato come il Perù avrebbe dovuto fare valere le proprie ragioni per riappropiarsi in qualsiasi maniera di Arica e Iquique, i territori persi in quella guerra lontana nel tempo. Anche ora, all’annuncio di García, la destra cilena ha chiesto, come ritorsione, che si chiuda la frontiera a tutti i lavoratori peruviani che si dirigono in Cile.
Le dispute territoriali sono all’ordine del giorno in America Latina. Il tribunale dell’Aja sta analizzando altri tre casi –oltre quello argentino/uruguagio- e tutti riguardano il Nicaragua: contro la Colombia, per il controllo dell’arcipelago di San Andrés; con la Costa Rica, per la libera navigazione sul fiume San Juan; e con l’Honduras per la delimitazione marittima sul litorale caraibico (
http://www.icj-cij.org/docket/index.php?p1=3&p2=1)
Ma le liti tra vicini sono molte di più: si va dal muro tra Stati Uniti e Messico alle rivendicazioni del Guatemala sul Belize; dalle reciproche accuse tra Colombia e Venezuela e Colombia ed Ecuador alle liti sulla Triplice frontiera tra Paraguay, Brasile ed Argentina. Insomma, vicini ma non troppo.

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Wednesday, June 20, 2007

Costo della vita in America Latina

Per chi volesse avere un’idea del costo della vita nelle città latinoamericane il sito www.mercerhr.com ha pubblicato la speciale classifica che riguarda tutte le principali città del pianeta.
Per il quinto anno consecutivo Asunción, la capitale del Paraguay, è risultata la città più economica del mondo, mentre la più cara è Mosca, seguita da Londra. Milano, la prima italiana, è all’undicesimo posto: complimenti.
L’America Latina risulta ancora un posto sufficientemente economico. Nessuna delle metropoli latinoamericane appare tra le prime cinquanta città più care del mondo. In testa nella speciale classifica riguardante il subcontinente ci sono le due metropoli brasiliane San Paolo e Rio de Janeiro, seguite da San Juan (Porto Rico), Santiago e Ciudad de México.
Al fondo della classifica, Asunción, tra le più economiche, è in buona compagnia. Ci sono, infatti, anche Quito e Montevideo.

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Tuesday, June 19, 2007

Uribe e il comandante Esteban

Per anni Álvaro Uribe ha negato ogni tipo di vincolo con i gruppi paramilitari, reagendo sempre in maniera decisa ad ogni accusa. Solo il 19 aprile scorso era apparso in televisione per ribadire di non essere mai stato amico dei paramilitari e di non aver mai stretto alleanze politiche con loro.
Ora, però, esce un video dove Uribe al termine di una riunione (politica?) stringe la mano a Fremio Sánchez Carreño, il comandante Esteban. Era l’ottobre 2001 e –naturalmente- secondo le fonti di governo il presidente non poteva sapere del ruolo svolto da questo signore. Uribe, infatti, ha ancora il coraggio di parlare di complotto e di insinuazioni.
Eppure, Sánchez Carreño era conosciuto da anni come leader dei paramilitari e la regione di Barrancabermeja, dove era avvenuto l’incontro, era praticamente il suo feudo. L’anno della riunione con Uribe, gli uomini del comandante Esteban vi avevano ucciso almeno seicento persone, tutte con qualche ruolo attivo nella vita politica e sociale della regione. Nemmeno un paio di mesi dopo Esteban venne arrestato e quindi processato, per poi ottenere inspiegabilmente la libertà nel luglio 2005.
Per Uribe, nemmeno questo video prova nulla. Difficile smuoverlo: la Colombia è lontana da una cura.

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Saturday, June 16, 2007

Guatemala, dove l'adozione è un affare

Le Nazioni Unite hanno chiesto espressamente al governo guatemalteco di sospendere a tempo indeterminato le adozioni. Legale o illegale è diventato questo un affare incontrollabile, che lungi dall’assicurare un futuro ai bambini abbandonati consegna invece ingenti somme di denaro a genitori, avvocati, istituti e intermediari.
Ufficialmente, il Guatemala manda in adozione almeno cinquemila bambini all’anno, una cifra in media cinquanta volte maggiore degli altri paesi della regione centroamericana. Il numero è però molto più alto, già che rimane l’incognita delle adozioni illegali, un traffico alimentato da avvocati e notai che chiedono fino a 40.000 dollari per bimbo. In questo caso c’è un vero e proprio mercato nero per appropriarsi di neonati che, nel giro di una settimana dalla loro nascita, vengono affidati dalla loro madre alla nuova famiglia.
La vendita di bambini è il solito segreto di Pulcinella. In Guatemala tutti lo sanno, le autorità lo tollerano e solo il mese passato il governo ha infine sottoscritto la convenzione dell’Aja sulle adozioni. L’accordo entrerà in vigore però solo a partire dal primo gennaio del prossimo anno, per cui il rischio è che nei cinque mesi restanti la richiesta aumenti a dismisura, così come i prezzi. Da qui il monito dell’Onu al Guatemala, che sospenda le adozioni almeno fino al 2008; decisione che difficilmente il Guatemala prenderà, già che per farlo si dovrebbe modificare la Costituzione.
In parole povere, da oggi è in atto una moratoria di cinque mesi sul mercato nero dei neonati, con buona pace dei diritti dei più piccoli e di chi ha fatto di un dramma di vita un traffico.

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Thursday, June 14, 2007

Nicaragua al buio, Unión Fenosa in salute

L’Unión Fenosa ha annunciato ieri che investirà 2200 milioni di dollari nei prossimi cinque anni per sviluppare le ricerche sull’energia in America Latina.
La compagnia, tra le più grandi di Spagna, da tempo sta cercando di aprire mercato nel continente americano. Nei suoi progetti a corto termine c’è la costruzione di un parco eolico in Messico e programmi minori in Colombia, Panama e Costa Rica. L’investimento nelle energie alternative (soprattutto quella eolica) dovrebbe portare ad una consistente riduzione nell’emissione nell’aria di anidride carbonica –almeno un milione di tonnellate all’anno-.
Fin qui, tutto molto bello e interessante. L’Unión Fenosa è però la stessa azienda che nei giorni scorsi è stata multata dal governo del Nicaragua per sei milioni di dollari. La ragione è che l’impresa ha causato danni irreversibili ai pozzi che drenano acqua nella capitale nicaraguense, perchè l’inefficienza nella generazione di elettricità produce continui black out. Tre settimane fa l’azienda spagnola ha perso anche il processo in cui veniva accusata di carenze nel servizio elettrico ed è stata condannata a pagare allo Stato 1 milione e 300mila dollari di multa.
Da quando l’Unión Fenosa ha vinto la licitazione sulla generazione di elettricità in Nicaragua, il Paese è in ginocchio per i black out che, a qualsiasi ora del giorno, bloccano quasi tutte le attività. La vendita di generatori elettrici è alle stelle e non c’è negozio, industria o albergo che non ne possiede almeno uno.
Da lunedì, il razionamento di energia ha portato a tagli dell’elettricità che durano fino a dieci ore al giorno, per cui anche il servizio dell’acqua viene interrotto per lungo tempo. Mentre i nicaraguensi rimangono senza acqua e luce, i soci di Unión Fenosa sono contentissimi: l’azienda ha infatti annunciato che gli affari vanno a gonfie vele e che nei prossimi giorni consegnerà dividendi per 2500 milioni di euro.

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Monday, June 11, 2007

RCTV: dalla lotta alla farsa

Quella di RCTV rischia di trasformarsi da una lecita lotta a favore dell’informazione in una farsa. Da giorni assistiamo alle adunate e radunate pro e contro di quella che, già lo avevamo detto, era comunque una lecita decisione del governo venezuelano su una frequenza in scadenza.
Con il passare del tempo sembra però che la maggiore preoccupazione dei venezuelani che chiedono il ritorno di RCTV (che sta trasmettendo comunque su internet) sia quella di essere rimasti senza telenovelas ed altri programmi spazzatura che l’emittente propinava a profusione.
E qui mi devo ricredere: altro che diritto all’informazione. Venerdì scorso abbiamo assistito ad un altro di questi atti al limite del ridicolo, quando in una piazza di Chacao, sobborgo di Caracas, sono stati innalzati un paio di schermi giganti che hanno trasmesso i nuovi capitoli delle telenovelas “Mi prima Ciela” y “Camaleona”. L’isterismo ha toccato il colmo quando sul palco sono apparsi gli attori principali delle due serie.
Passando dalle case alla strada, la tivù spazzatura rischia ora di diventare un fatto pubblico. Con buona pace di coloro che pensavano di portare ai venezuelani, oscurando RCTV, una televisione di qualità.

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Saturday, June 09, 2007

Sangue sul bollino blu

Com’era da aspettarsi, la Chiquita è stata denunciata dalle vittime dei paramilitari colombiani. Dopo aver ammesso di aver pagato 1.700.000 dollari in mazzette alle AUC ed avere per questo ricevuto una multa di 25 milioni di dollari, la multinazionale del bollino blu si vede ora trascinare nei tribunali da un’associazione che raccoglie almeno 173 famiglie che hanno avuto i propri cari assassinati dalla violenza delle AUC.
L’avvocato Terry Collingsworth, che ha presentato la denuncia, dice esplicitamente che la Chiquita ha utilizzato i gruppi paramilitari per assassinare “mariti, spose e figli di persone che interferivano con gli interessi finanziari dell’azienda” (il corsivo viene dalle dichiarazioni rilasciate alla Reuters e all’Associated Press). Inoltre, Collingsworth ricorda che le AUC sono inserite nella lista delle organizzazioni terroriste stilata dal governo degli Stati Uniti, per cui la Chiquita Brands si è resa colpevole di aver finanziato un gruppo terrorista che ha ucciso, nell’ultimo decennio, almeno diecimila persone. Insomma, la Chiquita si è fatta complice del terrorismo.
Il portavoce della Chiquita, Mike Mitchell, ha insistito che l’azienda è stata solo una vittima in più della violenza e che è stata forzata a pagare il pizzo per la protezione dei propri lavoratori. Mitchell insiste di nuovo che i pagamenti venivano fatti anche alle Farc, anche se finora queste affermazioni non hanno trovato riscontro.
Collingsworth ha però il dente avvelenato: “Alcune aziende che lavorarono nella Germania nazista fecero le stesse affermazioni e furono dichiarate colpevoli nel processo di Norimberga”.
La denuncia è stata presentata alla Corte federale degli Stati Uniti.

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Friday, June 08, 2007

I paesi centroamericani vicini alla rottura con Taiwan

Taiwan non ha molti amici nel mondo. Finora tra i 25 paesi che l’avevano riconosciuta a scapito della Cina popolare c’erano quelli centroamericani. Con loro ha mantenuto sinora forti rapporti commerciali e di cooperazione: di fatto il governo di Taipei ha sovvenzionato centinaia di progetti in America Centrale, che hanno rafforzato soprattutto la decadente e deficiente infrastruttura delle nazioni centroamericane.
La tentazione di essere partner della Cina è però ogni giorno più forte. Taiwan è, in fondo, solo un’isola con un territorio poco più grande del Belgio. Le dimensioni contano e la Cina, nonostante irrispetti i diritti umani, inquini, mandi a morte i detenuti, invada i vicini, è sempre la Cina. Al summit dello scorso 25 maggio tenutosi in Belize e che voleva riavvicinare Taiwan ai suoi soci centroamericani sono intervenuti proprio in pochi. Quasi tutti si erano scusati dicendo che avevano qualcosa di più importante da fare. All’incontro, infine, avevano partecipato sottosegretari e funzionari di secondo ordine che, con aria sparuta, non sapevano bene che pesci pigliare.
Ieri, lo strappo. Il governo della Costa Rica ha rotto le relazioni diplomatiche ed ha riconosciuto, dopo sessantatré anni, la Cina Popolare, sbattendo la porta in faccia ad un’amicizia che ha resistito una vita intera. Taiwan ha accusato il colpo ed ha subito cancellato i programmi di cooperazione, che negli anni passati avevano dato ottimi risultati (strade, ponti, dighe). Il governo di Taipei teme, e a ragione, che la defezione della Costa Rica sia solo l’inizio della fine delle relazioni che mantiene con i governi dell’area. Secondo gli analisti si sta già formando la fila: Nicaragua, Panama ed il Paraguay sono gli immediati candidati.

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Wednesday, June 06, 2007

Zoellick lo squalo

Robert Zoellick è la persona nominata da George Bush per dirigere il Banco Mondiale dopo le dimissioni forzate di Paul Wolfowitz. Zoellick non è un nome nuovo per l’America Latina. È stato infatti lui che, con mano di ferro e una prepotenza che lasciò una lunga sequela di critiche, impose il Cafta ai governi centroamericani.
Originario dell’Illinois e laureato in legge ad Harvard, durante la sua carriera Zoellick ha ottenuto diversi incarichi sia nell’impresa privata (Alliance Capital, Said Holdings, Precursor Group e, ahimè, Enron) che nel governo. Fedelissimo della squadra di Bush, è stato da questi incaricato dei trattati commerciali. Il Cafta è praticamente una sua creatura, così come la disputa con l’Unione Europea sugli alimenti modificati geneticamente, sui quali gli Usa spingono per una veloce approvazione. Inoltre, grande merito, Zoellick è riuscito a portare la Cina all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio.
Nel 2000, quando ancora non c’era stato l’11 settembre, Zoellick scriveva: “Esiste ancora del Male nel mondo, persone che odiano l’America per le idee che rappresenta... gli Usa devono rimanere allerta ed avere la forza di sconfiggere i nemici”: è stato un buon profeta.
Su di lui scrissi un corsivo su Narcomafie del gennaio 2004, che rende l'idea del personaggio:


"Robert Zoellick ha l’aspetto del soldato inflessibile, di quello che si vede nei film americani, che risolve tutto con raffiche di mitra e bombe a mano. Antipatico per scelta, è un uomo che ha in mente una missione ed è determinato a portarla a termine, con le buone o con le cattive. Nella vita fa il responsabile per gli Stati Uniti del settore commerciale, una sorta di direttore d’azienda a livello governativo. Sconosciuto al grande pubblico, Zoellick ha invece una grande –sebbene non certo positiva- fama tra gli addetti ai lavori. È infatti la voce di Bush, l´uomo che conta nei negoziati per i trattati commerciali, compito difficile che Zoellick svolge con la delicatezza di un elefante in una cristalleria. Poco incline alle parole, preferisce infatti le minacce che, durante le trattative con i paesi centroamericani, ha lesinato a destra e manca.
Uscito scornato dalla conferenza di Cancún, Zoellick ha trovato nel Trattato di libero commercio con il Centroamerica un successo diplomatico. Arrogante ed aggressivo, questo signore ormai oltre la cinquantina proviene, naturalmente, dall’impresa privata.
Definito dalla rivista “Business Week” lo zar della globalizzazione, Zoellick vanta un passato in multinazionali dal pedigree non proprio immacolato, come la sua partecipazione nella Enron (dove le sue consulenze erano pagate fino a 50.000 dollari per tema) o con la potente Said Holdings, firma sudafricana che ha lanciato una vera e propria crociata sui diritti d’autore. Passato sopra i centomila licenziamenti della Enron senza nessun rimorso di coscienza, Zoellick ha imperversato poi in Africa, dove ha appoggiato le politiche delle compagnie biotecnologiche che hanno ridotto in miseria migliaia di contadini. Ha girato quindi il mondo, disinteressandosi della Omc, cercando di firmare quanti trattati bilaterali fosse possibile: con la Giordania, Singapore, Bahrein, Marocco, approdando infine in America Latina, dove è diventato lo spauracchio di decine di governi".

Zoellick, in parole povere, è uno squalo. La sua idea di libero mercato –del quale è un grande fautore- è sempre stata quella di stabilire delle dipendenze economiche e non dei rapporti paritari. Insomma, niente di nuovo: il Banco Mondiale continuerà nella sua linea già seriamente screditata.

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Sunday, June 03, 2007

Portillo: quando il crimine paga

Scagionato e con tante scuse: Alfonso Portillo, l’ex presidente guatemalteco non solo non andrà in carcere, ma non pagherà per i reati di corruzione per i quali era sotto investigazione da tre anni. Fuggito in Messico appena dopo la fine del suo mandato nel febbraio 2005, Portillo era stato subito incriminato dalle autorità guatemalteche per aver deviato 118 milioni di dollari dello Stato su conti personali e dell’esercito.
La giustizia messicana ha ora deciso di non concedere l’estradizione ed allo stesso tempo quella guatemalteca ha dovuto rinunciare al processo per un errore di procedimento. La decisione è stata presa dalla stessa Corte Costituzionale, che ora ha fatto di Portillo un uomo libero ed in grado di poter disporre del capitale con il quale si è arricchito durante la presidenza.
Portillo è senza dubbio un uomo fortunato. Nell’agosto 1982, durante una rissa tra ubriachi, uccise in Messico due persone e ne ferì un’altra dandosi alla fuga. Il reato cadde in prescrizione nel 1995 e Portillo potè lanciarsi tranquillamente alla carriera politica, appoggiato dall’elettorato evangelico e con un padrino d’eccezione: Efraín Rios Montt. Alla presidenza giunse nel 2000 mentre in carcere sembra proprio che non finirà mai. Con il doppio proscioglimento di questi ultimi giorni avrà tutto il tempo che vuole per godersi la vita.

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Saturday, June 02, 2007

Il gran vuoto spirituale

Abbiamo voluto che fosse maestoso perchè la gente capisca che si possono fare grandi cose in Guatemala”.
Con questa dichiarazione Jorge López, pastore della Fraternidad Cristiana, ha inaugurato il più grande tempio della chiesa evangelica in Centroamerica.
Dodicimila posti a sedere, 113.000 metri quadrati di costruzione, un eliporto, un costo di 29 milioni di dollari: la grande marcia delle chiese pentecostali in America Latina sembra non conoscere ostacoli.
La Fraternidad Cristiana conta meno di trenta anni di vita, pochi ma sufficienti per riunire tredicimila membri ed un capitale del quale non si possono fare stime. Non è la sola chiesa pentecostale, ovviamente, a riunire migliaia di fedeli in questo paese centroamericano: un guatemalteco su quattro è infatti cristiano evangelico.
Nella storia del Guatemala i pentecostali si sono insediati solo a partire dagli anni Settanta, ma il grande balzo in avanti l’hanno fatto con Ríos Montt, il dittatore che con la sua follia messianica ha scatenato il genocidio degli indigeni maya. Montt aveva un’idea ben precisa di quello che doveva essere il Guatemala: “Il guatemalteco è il popolo eletto dal Nuovo Testamento. Siamo i nuovi israeliti dell’America Centrale” aveva dichiarato all’inviato del New York Times. Detto e fatto: la crociata di Ríos Montt si rivolse soprattutto contro gli indios, che mandò a decimare attraverso la creazione delle Pac, le pattuglie di autodifesa civile ed i suoi fedelissimi in divisa.
Mentre massacrava indigeni, Ríos Montt raccoglieva milionate di fondi dagli ingenui fedeli statunitensi che pensavano davvero, grazie alle doti di imbonitori dei pastori Pat Robertson, Bill Bright e Jerry Falwell, che il Guatemala sarebbe diventato il regno di Dio in terra.
Il tempo ci ha rivelato che il dittatore genocida non sarà mai giudicato dagli uomini per le sue colpe ed ora ci dimostra anche come la Storia non insegni nulla. Alle prossime elezioni guatemalteche ci sarà anche Harold Ballestero, che è stato tra i più popolari pastori evangelici del Guatemala. Lasciato il pulpito, Ballestero ora vuole governare:
Dio non si è dimenticato del Guatemala e per questo ci ha portato Harold Ballestero” dice l'introduzione al suo programma elettorale. Tutto un programma.
La chiesa di Ballesteros: http://www.elshaddai.net/
La Fraternidad Cristiana: http://www.frater.org/

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