blog americalatina

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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Monday, February 26, 2007

Mercenari per necessità

Ce ne ha messo di tempo, già che da almeno tre anni pubblico articoli sull’argomento, ma alla fine l’Onu ha denunciato formalmente la presenza di mercenari latinoamericani in Iraq. Le guardie di sicurezza privata, contrattate da aziende statunitensi, sono il secondo contingente più grande per entità dopo l’esercito degli Stati Uniti. Le 160 imprese danno lavoro ad almeno quarantamila persone, provenienti da quasi tutti i paesi poveri del mondo. Perù ed Ecuador sono in testa alla lista delle nazioni dell’America Latina, ma ci sono anche tanti cileni, honduregni, guatemaltechi e messicani.
Non è poi tanto difficile vedere sui giornali centroamericani gli annunci di società come la Triple Canopy (
http://www.triplecanopy.com/triplecanopy/en/home/) o la Blackwater (http://www.blackwaterusa.com) che tramite i loro agenti compiono periodiche selezioni regionali.
Prima si richiedevano persone che avessero già avuto un addestramento militare; ora, le stesse imprese offrono un addestramento basico su come usare un M-16 e quindi vengono inviati in zona di guerra. Perchè si rivolgono all’America Latina? Per risparmiare costi, naturalmente. Una guardia privata europea o statunitense può guadagnare uno stipendio di 10.000 dollari. Una peruviana, diciamo, si accontenta pur correndo gli stessi rischi di 1.000 dollari al mese.
Non si tratta di una notizia nuova (qui un articolo dell’anno passato:
http://www.antimilitaristas.org/article.php3?id_article=2613), eppure risalta la lentezza con cui vengono propagate queste informazioni.
Nei prossimi giorni starò viaggiando, per cui pubblicherò con meno frequenza.
Hasta pronto.

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Sunday, February 25, 2007

Il Cafta: un pessimo affare

Lunedì si terrà qui a San José una manifestazione di protesta, l’ennesima, per dire no al Cafta. La Costa Rica è l’unico paese che non ha ancora ratificato il trattato e l’opposizione continua ad aumentare di giorno in giorno. Árias non si stanca di dire che l’accordo verrà infine firmato, ma ogni giorno che passa, meno la gente è convinta. La sensazione è ormai quella che il Cafta serva solamente per arricchire il gruppo dei pochi che comandano e che le conseguenze per l’economia locale saranno disastrose.
A nulla serve il lavaggio del cervello che tutti i giorni, attraverso la radio, i giornali e la televisione, viene finanziato da politici e uomini di affari con pubblicità e jingle. Ieri i giornali pubblicavano addirittura una pagina completa in cui si diceva che la venezuelana Alunasa veniva trasferita in Nicaragua perchè questo paese aveva già firmato il Cafta. Chávez amico dei gringos, insomma. Come forzatura non c’è male.
Il Cafta non piace ai ticos perchè è stato pensato in termini di dipendenza. Non è infatti un accordo che si basa sull’uguaglianza, ma sulle necessità di un gigante, gli Stati Uniti, per appropriarsi delle risorse di piccoli stati e fare valere le proprie leggi.Un esempio. Proprio ieri due sindacati della Costa Rica hanno denunciato la Phrma, la potentissima corporazione dei fabbricanti farmaceutici degli Usa. Secondo la Undeca e la Anep, i due sindacati, la Phrma sta chiedendo al governo di Washington che vengano adottate sanzioni commerciali per la Costa Rica per non voler accettare la legislazione del Cafta.
E qui sta proprio l’inghippo, perchè la legislazione del Cafta, risponde alle leggi di proprietà intellettuale in vigore negli Stati Uniti e non negli altri paesi centroamericani. Per le imprese farmaceutiche, sebbene la Costa Rica sia un mercato infimo, in termini monetari la non applicazione del Cafta implica una perdita annuale di 112 milioni di dollari. Chi pagherebbe questi soldi? I ticos, naturalmente, che per comprare le medicine dovranno pagare più caro.
Árias insiste, ma intanto domani il Paese scende in piazza. Un link:
http://www.stopcafta.org/

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Saturday, February 24, 2007

La strage? Un errore di persona

Pescati da una telecamera: così sono stati trovati gli assassini dei tre deputati del Parlacen uccisi in Guatemala. E la sorpresa per gli inquirenti è stata ben grande, già che i sei autori materiali sono tutti poliziotti. Una telecamera che vigila l’autostrada che unisce Guatemala ed El Salvador mostra il momento in cui il fuoristrada dei deputati viene intercettato dalla pattuglia della polizia. Successivamente, il Gps installato sul veicolo degli agenti ha dimostrato come questi abbiano seguito l’itinerario dei salvadoregni fino al luogo delle esecuzioni.
Tra i sei c’è Luis Arturo Herrera, comandante della Dinc (División de Investigación Policial), un poliziotto tutto d’un pezzo conosciuto per aver seguito i più eclatanti casi di narcotraffico in Guatemala. Perchè poi, dicono gli inquirenti, proprio di questo si tratta. Herrera ed i suoi lavorerebbero per un cartello del narcotraffico e la strage di martedì scorso non sarebbe altro che un tragico errore. Sul telefono di Herrera sono state trovate chiamate dal Salvador proprio la mattina della strage. Chiamate che avvisavano l’arrivo di un carico di droga: i poliziotti, però, avrebbero clamorosamente sbagliato auto. Quando si sono resi conto dell’errore hanno deciso di eliminare i deputati per evitare di essere smascherati.
Escluso il movente politico, quindi, già che uno degli uccisi era Eduardo d’Aubuisson, il figlio minore di Roberto d’Aubuisson, il leader dell’estrema destra salvadoregna, fondatore di Arena, il partito al potere e mandante dell’omicidio di monsignor Romero, che resta?. Tutto qui, quindi? Un errore di persona? Difficile da pensare.
Il presidente Saca, poi, continua a parlare di un messaggio chiaro ai partitari di Arena:
http://www.laprensagrafica.com/nacion/723115.asp (qui l’audio). Una cosa è certa: siamo solo all’inizio di questo scandalo.

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Wednesday, February 21, 2007

Triplice omicidio sul Parlacen

Sarà destinato a fare parlare a lungo in Centroamerica l’omicidio di tre deputati salvadoregni avvenuto ieri in Guatemala. Farà discutere soprattutto perchè i tre erano rappresentanti di Arena, il partito della destra al potere nel Salvador ed una delle vittime era Eduardo D’Aubuisson, figlio minore di Roberto, il mandante dell’omicidio di monsignor Romero ed ideologo degli squadroni della morte.
Finora, non c’è nessuna pista chiara. La polizia sta cercando di ricostruire le ultime ore dei tre, che erano giunti a Ciudad de Guatemala per partecipare ad una riunione del Parlamento Centroamericano, il Parlacen. Insieme ad un autista sono finiti invece a 40 chilometri dalla capitale, dove sono stati prima giustiziati con un colpo alla testa e quindi dati alle fiamme assieme all’auto.
Resta da capire se si tratti di un crimine perpetrato dalla delinquenza comune o se siamo di fronte ad un omicidio politico o una resa di conti. I quattro erano infatti già giunti nella capitale guatemalteca e da lì sono stati attirati in una trappola. Proprio la particolarità dell’esecuzione spinge gli inquirenti a valutare ogni possibilità.
Ciudad de Guatemala è comunque una città violenta. Solo domenica scorsa diciotto persone sono state assassinate a testimonianza dell’alto grado di pericolosità ormai raggiunto da questa città. Ogni visitatore di rilievo riceve una scorta della polizia per evitare sequestri o furti. Lo stesso era successo ai deputati che, però, una volta giunti nel centro della città e sentendosi al sicuro avevano deciso di rinunciare alla presenza della polizia.

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Tuesday, February 20, 2007

Pasticciaccio alla colombiana

María Consuelo Araújo non poteva durare a lungo nel suo incarico di Ministro degli esteri. Infine sono giunte le dimissioni e Uribe, da navigato politico, mette a segno un punto a suo favore, già che promuove nel ruolo di cancelliere Fernando Araújo Perdomo, l’ex senatore scappato poco tempo fa dalle Farc che lo tenevano prigioniero. Un bel colpo d’immagine, non c’è che dire, soprattutto per la comunità internazionale che, probabilmente, non conosce nel dettaglio il personaggio.
Araújo Perdomo – che non è parente della Consuelo- è un conservatore incallito. Fu rapito sei anni fa, mentre faceva jogging vicino a casa sua, nella città di Cartagena. Ministro nel 1998 con Pastrana, del quale è amico, Araújo fu coinvolto in uno scandalo di speculazione edilizia che costò la casa a migliaia di famiglie povere di Chambacú.
Pronto a sfoggiare una nuova verginità politica, il nuovo ministro si è detto a favore di un negoziato che porti alla liberazione degli ostaggi in mano alle Farc. Solo parole?
Intanto le malelingue si chiedono come una persona che è stata fuori dal mondo per sei anni possa reggere le sorti della politica estera colombiana. Di certo c’è che la sua nomina fa comodo a molti. A Uribe, tanto per cominciare, che con la rinuncia di María Consuelo, si è tolto di mezzo un bel peso ed ora può dedicarsi con maggiore tranquillità a risolvere l’ingarbugliata situazione procuratagli dai deputati e senatori paramilitari. Amicizie senza dubbio pericolose, che rischiano di avere un prezzo politico altissimo. E poi ad Araújo stesso, il cui sequestro è servito per cancellare un processo giudiziario che lo avrebbe condannato. Ora, la riabilitazione: da ladro –secondo la vox populi della Colombia- a eroe. Insomma, un caso alla colombiana.

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Monday, February 19, 2007

Le responsabilità di Alan García

Da anni voce di popolo, la diretta partecipazione di Alan García nella strage di El Frontón è ora diventata materiale per i tribunali. Il presidente peruviano ha ricevuto, insieme al suo attuale vice, Luis Giampietri –che allora guidò l’assalto alla prigione-, la convocazione da parte del giudice, per il momento solo per essere interrogato. García si è sempre detto estraneo al massacro e di esserne venuto a conoscenza solo dopo che questo venne consumato.
Ciò nonostante, diversi testimoni dicono che García fosse al corrente dei fatti e che, anzi, si mantenesse in diretto contatto attraverso ricetrasmittente con Agustín Mantilla, l’inviato del governo nel carcere del Frontón. “El Comercio” già quattro anni fa pubblicava questa intervista a Julio Quintanilla:
http://www.geocities.com/comunismoenperu/elfronton.htm
dove si affermava la responsabilità diretta di García ed i tentativi dell’Apra di dilatare le indagini, in maniera che l’attuale presidente potesse avvalersi dell’impunità.
La strage del Frontón risale al 19 giugno 1986. Approfittando della concomitanza della conferenza mondiale dell’Internazionale socialista che si teneva a Lima, i detenuti di Sendero Luminoso organizzarono una rivolta per attirare l’attenzione mondiale dei media sulla loro situazione. García usò la mano dura. Mandò Mantilla al Frontón ordinandogli di interrompere ogni negoziato con i prigionieri. Quindi lasciò il campo libero alla Guardia Repubblicana ed ai marines che, con mortai, bazooka e bombe a mano, demolirono il padiglione dove si erano rifugiati gli insorti. I morti accertati furono 118, molti deceduti per le esplosioni, altri torturati e finiti con un colpo di pistola alla tempia.
Il massacro segnò l’ennesima pagina nera del conflitto interno tra lo Stato peruviano e Sendero Luminoso, portandolo di fatto su un baratro: dopo il Frontón, Sendero scatenò una terribile offensiva di sangue che solo la brutale repressione dell’esercito, con un alto prezzo di vittime civili, riuscì a debellare. La storia del massacro e delle responsabilità:
http://www.adehrperu.org/index.php?option=com_content&task=view&id=78&Itemid=31

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Sunday, February 18, 2007

Storia di una fabbrica di alluminio

Si chiama Alunasa, occupa 400 lavoratori e si trova ad Esparza un piccolo paese della Costa Rica, situato tra San José e Puntarenas. L’economia della zona regge proprio grazie alla presenza di questa fabbrica di alluminio che dal 1990 appartiene allo stato venezuelano. A differenza di tante altre aziende statali, non è mai stata venduta, forse perchè passata inosservata di fronte a tante di ben più rinomato calibro. Con un sindacato organizzato e previdente, l’Alunasa è riuscita ad offrire, grazie ad un accordo con la Universidad Estatal a Distancia, corsi di scuola superiore per i propri lavoratori, necessari per lo sviluppo non solo dell’azienda ma del tessuto sociale della zona di Esparza. Da operai a tecnici, molti dei suoi lavoratori sono riusciti con gli anni ad aprire le proprie officine e lavorare per l’indotto.
Da oggi l’Alunasa (
http://www.alunasa.com) è l’oggetto della discordia tra Venezuela e Costa Rica, con un terzo protagonista, il Nicaragua. La storia è presto detta. Poco più di un mese fa Chávez aveva promesso ai nicaraguensi, oltre ad un oleodotto e ad una raffineria, anche una fabbrica di alluminio. Fin qui niente di allarmante, già che il Venezuela è uno dei maggiori produttori al mondo di questo metallo.
Il pasticciaccio lo combina Óscar Árias, presidente della Costa Rica, sempre alla ricerca di un palcoscenico internazionale da cui profondere pillole di saggezza. Árias, convinto di non aver abbastanza problemi in patria, mette spesso il naso negli affari altrui. L’essere stato insignito del premio Nobel per la pace lo ha convinto di poter esprimere lezioni di democrazia spesso senza valutare gli effetti che le sue parole possono provocare.
Qualche giorno fa Árias ha avuto l’idea di criticare il Venezuela per le leggi che permetteranno a Chávez di governare per decreto. Un’ingerenza che non è stata digerita da Caracas, la cui risposta non si è fatta aspettare: Chávez, con la celerità che lo contraddistingue, ha immediatamente iniziato le pratiche per la chiusura di Alunasa in Costa Rica.
Tutti i programmi sociali, la sicurezza di un lavoro, il progresso di una regione altrimenti sterile verranno cancellati: complimenti, don Óscar, 400 disoccupati per la sua lingua lunga. Ma è lecita una domanda: è venuto prima l’uovo o la gallina? La fabbrica di alluminio promessa da Chávez ad Ortega, non sarà stata poi proprio l’Alunasa?

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Saturday, February 17, 2007

I deputati paramilitari di Uribe

Álvaro Uribe perde sei deputati nell’ambito dello scandalo sui gruppi paramilitari. Tra i sei c’è anche Álvaro Araújo, fratello di María Consuelo che Uribe ha voluto come cancelliere, implicato non solo con la guerriglia ma anche in un sequestro di persona.
Il presidente continua a negare il nesso con la destra paramilitare e la María Consuelo, naturalmente, non pensa alle dimissioni. Per lei vale il detto comune in quasi tutta America Latina: “es mi hermano pero no se nada de él”.
Eppure, l’arresto di Álvaro Araújo una trascendenza importante ce l’ha, già che mina l’immagine di quella Colombia democratica e liberale che Uribe ha tentato di proiettare all’estero con María Consuelo. Doveva essere la faccia pulita della Colombia, da presentare ai presidenti e ministri stranieri come un biglietto da visita, quasi uno spot di televisione per attirare simpatie e fiducia. Invece, come l’uomo del Monte che dietro il suo sorriso bonario aveva dietro migliaia di contadini sfruttati, anche la María Consuelo d’ora in avanti non potraà che sollevare dubbi di fronte ai suoi interlocutori.
Per il momento, Uribe non ci sente e va avanti per la sua strada. Mentre l’opposizione chiede a più voci una dura reazione con le dimissioni di quanti si trovano coinvolti nello scandalo, il presidente (apparso in televisione abbastanza provato) si arrampica sugli specchi pur di difendere un potere che appare sempre più illegittimo. Le accuse, infatti, vogliono provare che le elezioni del 2002 sarebbero state truccate almeno in tre regioni, quelle di César, Magdalena e Atlántico. La crisi politica è dietro l’angolo: cosa si inventerà stavolta Uribe?
Già che stiamo parlando di Colombia, vi suggerisco la visita a
http://bogotalia.blogspot.com/ che ha pubblicato un’interessante nota sulla vicenda di Freddy Muñoz.

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Friday, February 16, 2007

Da criminali a marines (e viceversa)

Rilancio una notizia inquietante, che in questi giorni di protesta ed in vista della manifestazione di Vicenza, fa risaltare il carattere sempre più criminale che sta assumendo la guerra in Iraq.
L’esercito degli Stati Uniti sta infatti reclutando con sempre maggiore frequenza persone con precedenti criminali, anche gravi, ed il premio per arruolarsi è la consegna di una fedina penale ripulita dai delitti commessi. La dispensa riguarda anche i narcotrafficanti ed i rapinatori. Già nel 2006 il 25% delle reclute inviate in Iraq era composto da delinquenti.
L’arruolamento è stato esteso anche a persone con gravi problemi di salute e con un basso coefficente intellettuale.
Il Centro “Michael Palm”, autore dello studio, rivela che negli ultimi tre anni sono stati almeno centomila i soldati con precedenti penali arruolati tra i marines e nell’esercito:
http://palmcenter.org/press/dadt/releases/military_enlistment_of_felons_has_doubled
Il governo statunitense difende questa misura, appellandosi al fatto che l’esercito è una buona palestra per la riabilitazione: ma fino a ieri non erano per la sedia elettrica?

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Wednesday, February 14, 2007

L'Ecuador va alla Costituente

L’Ecuador va all’Assemblea costituente. La pressione popolare ha avuto infine ragione delle remore del Congresso e Rafael Correa riporta così la prima importante vittoria della sua presidenza. Migliaia di persone hanno manifestato nei giorni scorsi per le strade di Quito, chiedendo che i deputati ratificassero la richiesta di Correa e dei suoi di indirre la Costituente.
I cortei hanno avuto una forte presenza indigena, i cui rappresentanti sono arrivati a chiedere al presidente l’interruzione dei negoziati con l’opposizione. Secondo il sito dei quechua dell’Ecuador (
http://www.ecuarunari.org/) sono stati almeno diecimila gli indigeni a marciare e a chiedere il referendum popolare, che alla fine si farà il 15 aprile.
La foto è di Tove Maria Silveira

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Tuesday, February 13, 2007

Guatemala: meglio la mafia che la Menchú

Rigoberta Menchú ha annunciato la sua candidatura presidenziale, allo stesso tempo che la Chiesa cattolica ha denunciato la presenza dei cartelli del narcotraffico nelle prossime elezioni di settembre.
La candidatura ha già aperto un acrimonioso dibattito (come suole esserlo in Guatemala) sui meriti della Menchú. La classe dirigente guatemalteca (come quella boliviana e, in genere, di tutti i paesi con una forte presenza indigena) è gelosissima dei propri privilegi e chiara sul ruolo di dipendenza che le popolazioni autoctone devono ricoprire all’interno della società. Il processo in atto in Bolivia o in Ecuador spaventa e la possibilità che quello guatemalteco si trasformi nel prossimo governo a maggioranza indigena (secondo noi un processo irreversibile) mantiene la classe oligarchica –chiamiamola pure così- al bordo della crisi di nervi.
Basta dare un’occhiata ai corsivi sui giornali della destra, per rendersi conto del linciaggio morale a cui è sottoposta la Menchú (date un’occhiata a questo:
http://www.elperiodico.com.gt/es/20070212/opinion/36676/). La classe dirigente del Guatemala –ed i presidenti della cosiddetta “era democratica” l’hanno ampiamente dimostrato- continua ancora oggi ad avere nostalgia delle dittature dove sì le restrizioni e la repressione erano all’ordine del giorno, ma almeno si sapeva chi comandava.
L’idea radicata nel profondo di questa gente è che una come la Menchú, al massimo può servire come domestica nelle loro eleganti case. Difficili, quindi, da mandare giù che la “cholita” possa un giorno decidere le sorti del paese.
Meglio la mafia, quindi, i padroni del narcotraffico che portano con sè denaro e potere. La denuncia è stata fatta da monsignor Álvaro Ramazzini, che afferma come le cosche abbiano già piazzato i loro uomini nei posti più importanti della sfera pubblica.
Tornando alla notizia della candidatura della Menchú, mi sembra importante fare risaltare due cose: una che, secondo un sondaggio realizzato l’anno passato il 71,2% dei guatemaltechi voterebbe per un candidato indigeno; l’altro che il collettivo capitanato dalla Menchú parla già di quote di potere per schierarsi con un partito piuttosto che con un altro. Chi abbia pensato ad un estemporaneo fenomeno di folclore, può immediatamente ricredersi.

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Sunday, February 11, 2007

La censura in Colombia

Finalmente i giornali colombiani si sono messi d’accordo e l’hanno detto chiaro: in Colombia esiste la censura. Con buona pace del presidente Uribe, che sbraita come il suo governo abbia fatto grandi passi avanti in quanto a democrazia.
Il fatto, poi, è proprio questo. A Uribe, come a tanti leader dell’occidente democratico, la libertà di stampa non va proprio giù, soprattutto quando a pubblicarsi non sono i decantati risultati del suo governo, ma le malefatte che sono tante ed innegabili. Altrimenti, pensiamo solo all'inchiesta in corso sulla sua connivenza con i gruppi paramilitari.
Venerdì scorso, 9 febbraio (giorno del giornalista in Colombia) le 31 testate affiliate all’Andiarios hanno pubblicato tutte la stessa pagina “pubblicitaria” in cui avvisavano i lettori delle pressioni a cui sono sottoposte da parte di elementi del governo, della magistratura, dell’esercito e della delinquenza in generale.
Gli omicidi, le minacce e gli attentati sono parte del quotidiano” si legge nell’articolo. “Sfortunatamente non c’è tema che sfugga al potere intimidatorio del crimine organizzato, dei gruppi armati illegali e dei corrotti. Come se questo fosse poco, l’impunità regna sovrana”.
Il dito accusatore va soprattutto in direzione della magistratura: “sono sempre più frequenti le decisioni giudiziarie che, in maniera arbitraria o sproporzionata, impongono sanzioni ai mezzi di comunicazione ed ai giornalisti”.
Nel testo seguono fatti circostanziati, avvenuti a Barranquilla, Armenia e San Andrés, dove la connivenza tra politici e la magistratura ha occultato le inchieste sulla corruzione locale.
Il testo della denuncia:
http://www.andiarios.com/

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Saturday, February 10, 2007

Bolivia: il tempo degli espropri

Chávez espropria, Morales espropria. Ieri, in Bolivia, è toccato alla Metalúrgica Vinto, proprietà della Glencore (http://www.glencore.com/), azienda di capitale svizzero che si occupa della fusione dello stagno. Alla base della decisione del governo boliviano, l’irregolarità con cui era stata venduta l’impresa (al tempo, l’allora presidente Gonzalo Sáchez de Losada possedeva un fornito pacchetto d’azioni).
La Glencore chiede ora un indennizzo in base agli accordi commerciali tra Bolivia e Svizzera, ma il governo di Morales fa sapere che l’illegalità della vendita rende inutile qualsiasi reclamo.
La Vinto, in origine azienda statale, era stata venduta all’inglese Allied Deals che poi l’aveva trasferita nelle mani di Goni. L’ex presidente aveva fatto l’affare vendendola a sua volta agli svizzeri per 290 milioni di dollari: 90 per la firma e 200 per i giacimenti. Insomma, il tipico accordo tra "gentiluomini" per appropriarsi di beni dello Stato.

Di questa natura sono gli affari che in America Latina si fanno intorno al neo liberismo, che di dottrina economica ha ben poco.
Intanto, Morales continua a mantenere quanto promesso: i contratti illegali porteranno all’espropriazione.
Già che siamo in tema, vi segnalo un blog che -in italiano e spagnolo- racconta i cambiamenti in atto in Bolivia:
http://www.vivabolivia.splinder.com/

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Thursday, February 08, 2007

Missili per la pace

Fa bene o no Ortega a non volere distruggere i 651 missili Sam-7 che gli rimangono in arsenale? Un anno fa, l’allora presidente nicaraguense Enrique Bolaños, aveva accettato l’invito degli Usa a liberarsi dei missili per paura che cadessero in mano terrorista. Nonostante i fondati dubbi sulla presenza di cellule terroriste in Centroamerica, Bolaños accettò di buon grado e la distruzione degli ordigni è proceduta senza intoppi.
Ora, però, si scopre che gli stessi Usa hanno venduto all’Honduras –vicino del Nicaragua e amico di Washington- undici aerei del tipo Storm Rally, velivoli leggeri come si può vedere nella pagina della società costruttrice (
http://www.aireliteaviation.com/) che vengono normalmente usati per la fumigazione aerea e per la ricognizione.
Secondo Ortega questi aerei sarebbero in grado di bombardare Managua in 25 minuti, ma diciamoci la verità: dopo aver visto gli aerei, non vi sembra che il nostro stia sinceramente esagerando?
Ortega ha rilasciato in questi giorni dichiarazioni colme di retorica nazionalista, arrivando a dire che “la Costa Rica dispone di un esercito e che l’Honduras potrebbe bombardare il Nicaragua” volendo fare intendere ai nicaraguensi che il Paese sarebbe circondato da forze ostili. Se vuole tenersi i missili, se li tenga, nessuno glielo impedisce, ma quello che fa male al Nicaragua e alla pace è la retorica che viene usata per blandire il popolo. Ortega da solo, però, non può decidere nulla per cui la parola passa all’Assemblea Nazionale, che nei prossimi giorni deciderà se disarmare il Nicaragua o mantenere la dotazione degli obsoleti, ma almeno dissuasivi, missili russi.

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Tuesday, February 06, 2007

A Oaxaca non è finita

A Oaxaca non è finita. Sabato scorso un corteo composto da migliaia di manifestanti è sceso di nuovo in strada per chiedere la rinuncia del governatore Ulises Ruiz. Ventimila persone, secondo una stima dell’Associated Press, hanno marciato per esprimere il rifiuto verso l’uomo che ha sempre negato il dialogo, trasformando Oaxaca in un campo di battaglia (galleria fotografica della marcia su: http://oaxacaluchando.blogspot.com/2007/02/fotos-de-la-9-megamarcha.html).
Nella città, dopo lo sgombero dello scorso dicembre da parte delle truppe federali, la vita civile e sociale è ripresa, assieme al ripudio per Ruiz. La Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca ha indetto un incontro generale per l’11 ed il 12 febbraio prossimi. Tra i temi da discutere, la strategia da seguire per continuare la protesta contro Ruiz e le sue drastiche misure, che hanno generato il clima di violenza degli ultimi mesi. Da giugno a novembre le proteste hanno causato una decina di morti (tra cui il videoreporter di Indymedia, Brad Will) da parte della polizia e dei gruppi paramilitari simpatizzanti del governatore.
Intanto, mentre nessun provvedimento è stato preso nei confronti di Ruiz, nelle celle federali rimangono ancora 61 detenuti legati alla APPO, mentre i processi interessano un totale di 350 persone. Ruiz, ovviamente, non si scompone (la foto della manifestazione è tratta da tdm).
Termometro della situazione, i blog messicani:
http://oaxacaenresistencia.blogspot.com/
http://culturapolitica.blog.terra.com.mx/

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Sunday, February 04, 2007

Goni nella lista dell'Interpol

Anche Gonzalo Sánchez de Losada è entrato a fare parte da oggi della sempre più ampia lista di ricercati famosi dell’Interpol. L’ex presidente boliviano è stato dichiarato responsabile della morte di 63 manifestanti da parte della Corte Suprema del suo paese e di altri otto delitti, assieme ai suoi due ministri Carlos Sánchez Berzain e Jorge Berindoague al tempo responsabili della Difesa e degli Idrocarburi.
I fatti sono tristemente noti. Nell’ottobre 2003 migliaia di protestanti giunsero a La Paz per chiedere la rinuncia del presidente, che aveva appoggiato e firmato il pacchetto di leggi sugli idrocarburi. Un consorzio straniero, chiamato Pacific LNG, avrebbe esportato negli Stati Uniti l’82% del gas boliviano ad un prezzo inferiore a quello stabilito dai parametri internazionali.
Sánchez de Losada dopo alcune prime concessioni ai leader della protesta (c’era anche Evo Morales), decise invece di mandare l’esercito a sparare sui manifestanti: una trentina i morti accertati, più un centinaio di feriti il risultato della sua decisione. Non era la prima volta che il presidente inviava i soldati, ma questa volta i cortei non si dissolsero e Sánchez de Losada, per evitare guai peggiori, prese un aereo e fuggì negli Stati Uniti, dove risiede ancora oggi assieme ai suoi due ex ministri.
Washington gli ha dato subito asilo ed ancora oggi lo protegge, presentandolo come un paladino del neo liberismo perseguitato dai “comunisti”. Sánchez de Losada, Goni per gli amici e “El Gringo” per i nemici, diventa ora uno dei nuovi ostacoli sulle relazioni tra Stati Uniti e Bolivia. Difficile infatti pensare che gli Usa ne accettino l’estradizione: nei mesi passati il Dipartimento di Stato si era rifiutato di consegnare le notificazioni del processo. Morales, da parte sua, ha protestato con le autorità Usa per il disinteresse dimostrato nel collaborare con la giustizia boliviana.
In questo link, Goni viene beccato dal Pm boliviano che gli consegna la citazione per i suoi misfatti durante una cena nella capitale Usa, nel 2005:
http://genuineimagephotography.com/sanchezdelozada/

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Saturday, February 03, 2007

L'eterna attesa dei nicaraguensi

Fanno quasi tenerezza i nicaraguensi, con la loro sete di speranza, la loro perenne attesa per un futuro migliore. L’ottimismo non manca certo, nonostante la povertà non sia un’ipotesi ma la dura realtà quotidiana ed il salario minimo, inchiodato sui cento dollari, non alza la testa da almeno un decennio.
Dopo averle provate tutte con tre governi liberali, i nicaraguensi sono tornati da Ortega, con un entusiasmo misurato dal timore che la prova di fiducia si trasformi nell’ennesima disillusione. Mentre i cartelloni degli oppositori elettorali (Rizo, Montealegre, Jarquín) sono stati rimossi, i poster del comandante –come lo chiamano ancora un po’ tutti, amici ed avversari- sono rimasti lì, a ricordare che dall’alto c’è qualcuno che pensa ai milioni di poveri e disoccupati che si arrangiano sia nella gran Managua che nelle province. Il colore scelto da Ortega per infondere la speranza non è più il rossonero del sandinismo, ma un rosa intenso, che nel suo insieme fa sembrare i poster usciti da una rivista femminile. D’altronde la presidenza di Ortega ha una forte connotazione rosa, già che è innegabile, in tutto il processo che l’ha riportato al comando della nazione, l’influenza della moglie, Rosario. Al “Nuevo Diario” mi dicono che gran parte delle strategie elettorali vengono proprio da lei, così come il geloso controllo dell’informazione.
Non ci vuole molto, per capire che il vero scoglio allo sviluppo del Nicaragua sia proprio la classe dirigente, quella politica e quella imprenditoriale, legati a schemi di divisione del potere che non lascia spazio alla partecipazione cittadina. Che sia Alemán o che sia Ortega, l’impressione al visitatore straniero è sempre la stessa, ossia che con questi presupposti non si va lontano.
Rimane appunto, solo l’innato ottimismo che domani è un altro giorno e che le cose, per chissà quale intervento divino, possano cambiare.

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