blog americalatina

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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Wednesday, May 31, 2006

Quel furfante di Alemán

Arnoldo Alemán è un furfante. Però, si è dovuto sedere su tre poltrone, quella di sindaco di Managua, di deputato del Congresso e di presidente della Repubblica prima di ricevere un castigo; castigo che, vista la condiscendenza della giustizia nicaraguense, è risultato una presa in giro. Condannato a venti anni di reclusione, Alemán, grazie al traffico di influenze, ha ricevuto come carcere una delle estese proprietà che possiede alle porte di Managua. Nel caso volesse uscire –perchè, ovviamente, può farlo- deve rispettare ahimè l’obbligo di non lasciare la provincia.
Alemán è un delinquente. Durante la sua presidenza ha deviato almeno cento milioni di dollari verso i propri conti bancari disseminati un po’ ovunque. Grazie a lui, migliaia di bambini nicaraguensi continuano a soffrire la fame, i contadini non sanno che farsene di una terra che non produce e intere famiglie sono costrette a separarsi per cercare fortuna altrove. Al Gordo, queste cose non interessano. Nella sua prigione dorata organizza feste dove invita quegli stessi magistrati che lo hanno giudicato e dove continua a tessere le intrighe che mantengono il Nicaragua ancorato allo schema del caudillismo.
A volte, comunque, serve a qualcosa la comunità internazionale. La Spagna ha infatti dichiarato l’ex presidente nicaraguense persona non grata e gli ha vietato l’ingresso in tutto il territorio della Comunità europea per i prossimi dieci anni. Lo stesso avevano fatto gli Stati Uniti, dove Alemán ha più di una causa pendente.
Una decina di giorni fa, i giudici panamensi hanno accertato che Alemán ha lavato nelle banche del Canale almeno 58 milioni di dollari. Da qui la richiesta di estradizione per un processo. Ridicolizzata di fronte al mondo, la giustizia nicaraguense continua però a dimostrare la sua incompetenza: statene certi che per nulla, infatti, mollerà Alemán.
Sul Nicaragua, aggiornamenti e notizie su
http://www.itanica.org/ il sito dell’Associazione di amiciza e solidarietà Italia-Nicaragua.

Tuesday, May 30, 2006

Vecchi dittatori muoiono

Vecchi dittatori muoiono. È morto sabato scorso, in Venezuela, Fernando Romeo Lucas García, uno dei nomi più famosamente tristi delle dittature centroamericane. Lucas García aveva retto con pugno di ferro il Guatemala dei primi anni Ottanta, macchiandosi di ogni tipo di brutalità e facendo della repressione il suo metodo di governo. I due episodi chiave della sua dittatura furono l’assassinio per le strade della capitale guatemalteca di Manuel Colom (il 22 marzo 1979), leader riconosciuto di una socialdemocrazia in embrione perseguitata e costretta alla clandestinità, e l’incendio dell’ambasciata spagnola (il 31 gennaio 1980), che costò la vita a trentasette persone, che si erano rifugiate nella legazione iberica.
Lucas García, fu spodestato dal collega genocida Efraín Ríos Montt e riparò in Venezuela, dove ha vissuto sino alla morte. Da anni, era ammalato del morbo di Alzheimer, malattia che lo ha costretto per lungo tempo a letto ed isolato dalla realtà. Il Venezuela aveva negato l’anno scorso l’estradizione alla Spagna affinchè l’ex dittatore affrontasse l’accusa di genocidio. Protetto dal sistema giudiziario guatemalteco e dai satrapi della politica estera di Hugo Chávez, Lucas García ha evitato i tribunali ed è potuto vivere in un esilio dorato. Almeno, ci ha pensato la malattia a fargli pagare una parte dei delitti commessi contro migliaia di altri esseri umani.
Con i tribunali che ci troviamo, l'Alzheimer si sta rivelando il migliore alleato dei difensori dei diritti umani (Reagan, Pinochet, Lucas García...)

Monday, May 29, 2006

Vince l'astensionismo, Uribe è di nuovo presidente

L’astensionismo ha vinto e Álvaro Uribe sarà quindi fino al 2010 il presidente della Colombia. Del poco più del 44% che è andato a votare, il 62% ha dato la sua preferenza a Uribe, che ora promette che nei prossimi quattro anni riuscirà a firmare la pace con la guerriglia. Proclami a parte, la vittoria di Uribe permette agli Usa di tirare un sospiro di sollievo, che in questa maniera riescono a mantenere un fedele alleato ed una spina nel fianco di Hugo Chávez. Intanto, quel 56% che non è andato a votare continuerà a convivere con la guerriglia, riconoscendo di fatto la autorità di un potere alternativo a quello dello Stato. Insomma, niente di buono per la Colombia a venire. Come sempre, vi rimando ai commenti di prima mano su http://bogotalia.blogspot.com

I patrioti dell'Arizona

La mamma dell’imbecille è sempre in cinta. Non contenti di pattugliare il deserto dell’Arizona e di prendere a fucilate i disgraziati che tentavano di entrare clandestinamente negli Usa, i patrioti (così si chiamano tra loro) del gruppo Minuteman, anticipando sul tempo le autorità governative, hanno iniziato ad innalzare una prima barriera tra il confine messicano e quello statunitense. I lavori sono cominciati all’interno di un ranch privato, che condivide 49 chilometri di frontiera con il Messico e per renderli effettivi è stato necessario l’aiuto economico di 1021 simpatizzanti che hanno depositato nelle casse dei pistoleros dell’Arizona 225.000 dollari, per il momento sufficienti a coprire solo duecento metri di muro (complimenti). Se qualcuno di voi, fanatico dei film di cowboy e con simpatie filonaziste, con un odio viscerale per messicani e latinoamericani in genere, volesse aiutare può farlo inviando un obolo: http://www.minutemanhq.com/
perchè i Minuteman finiscano il loro progetto. Hanno infatti un disperato bisogno di 10 milioni di dollari per terminare quest’opera che è esempio di pace e fratellanza.
Siccome i cretini bisogna chiamarli sempre per nome e cognome, ecco chi sono: Chris Simcox è il leader dei Minuteman, Jim Campbell –che ha una impresa edile a Phoenix- è il maggiore contribuente del progetto. Jack Ladd è, invece, l’attempato proprietario del ranch. A Simcox potete scrivere, ha un blog che è tutto un programma.
http://minutemanhq.com/b2/index.php/simcox
Leggetevi i commenti, ne vale la pena.

Sunday, May 28, 2006

L'Argentina di Italo Moretti

L’Argentina di Italo Moretti è raccontata da Salvo Anzaldi, in questo articolo scritto in occasione della presentazione del libro “L’Argentina non vuole più piangere”. Un documento di valore che ospito con onore nel blog e che vi invito a fare circolare.

Il pozzo e il pendolo. Il secondo è quello che il sociologo Antifascista Gino Germani ha scelto per definire la ”legge” del paese: l'alternarsi, a partire dagli anni '30 del secolo scorso, di regimi militari e governi antidemocratici; il primo, nero e profondo, è quello in cui lo stesso paese è sprofondato il 24 marzo del 1976 con il golpe del comandante Jorge Rafael Videla. Il paese è l'Argentina e l'occasione è il trentesimo anniversario di quel colpo di Stato che introdusse l'orribile mattanza dei Centri di detenzione clandestina, i 4700 traslados e i 30 mila giovani strappati per sempre alle loro famiglie e alla vita. Occasione utile per leggere un prezioso libro: “L'Argentina non vuole più piangere”, Sperling & KupferEditori e incontrarne il suo autore, Italo Moretti.
Italo Moretti non è un autore qualunque, nè tantomeno un giornalistaqualunque. Gli stringi la mano e il "ciao" che ti rivolge sorridendo ti restituisce anni che per svariati motivi, non solo di anagrafe ti appaiono oggi così lontani: vent'anni di televisione italiana, vent'anni di cronache raccontate con coraggio e passione. Era un mondo assai più vasto di quello attuale, i luoghi più reconditi erano davvero tali: il Sudamerica non era così a portata di mouse e quella voce calda, dal timbro ancora oggi inconfondibile, aveva il merito di portare anche nelle case italiane avvenimenti drammatici che nessun altro, almeno sul piccolo schermo, osava raccontare.
Moretti ha lavorato al Tg2 (chiamato dal compianto Andrea Barbato) dal '76 all'87, alternando il ruolo di inviato a quello di conduttore ed è poi passato al giovanissimo Tg3, che lo ha anche visto impegnato nel ruolo di direttore. Prima ancora era stato testimone diretto del golpe in Cile e, per non farsi mancare nulla, nel '72 era miracolosamente scampato alla sciagura area avvenuta all'aeroporto di AdisAbeba: salvo e, pochi minuti dopo, al telefono a raccontare in diretta la tragedia in un servizio radiofonico che è un pezzo di storia di giornalismo e che gli valse il premio Saint-Vincent.Ma più di qualsiasi altro paese è l'Argentina il pascolo della passione professionale di Moretti. Lo sfondo sul quale ha scritto le pagine più significative di una carriera tanto ricca. Quattro libri: “Innocenti e colpevoli”, “Cronaca da tre mondi”, “In Sudamerica”, “I figli di Plaza de Mayo” e il già citato, recentissimo, “L'Argentina non vuole più piangere”.Un volume di grande intensità, che in appena 130 pagine ripercorre conmillimetrica precisione gli ultimi trent'anni di storia argentina: da Juan Domingo Perón a Nestor Kirchner, dagli anni della dittatura a quelli della crisi economica. Tutto narrato in modo asciutto, senza nessuna concessione alla retorica, anche se le lacrime sgorgano d'incanto a pagina 69 e fanno compagnia a quelle di Angela "Lita" Boitano, la rappresentante dei Familiares de desparecidos y detenidos por razones políticas che, a Roma, il 6 dicembre 2000 si commuove alla lettura della sentenza che condanna all’ergastolo dei generali Carlos Guillermo Suárez Mason e Santiago Omar Riveros.
Nell'anniversario del golpe di trent’anni fa, Moretti ha presentato il suo libro in giro per l'Italia. Lo ha fatto anche ad Aosta, dove la sera del 30 marzo ha parlato di Argentina e di tante altre cose all'attento pubblico dell'”Espace Populaire” nel corso di una serata organizzata dalle associazioni Italia-Nicaragua, Italia-Cuba e Uniendo Raices. Al suo fianco Stefano Scherma, reduce dall’ennesimo viaggio a Buenos Aires e autore di una tesi di laurea (“Dalla dittatura alla democrazia: il caso Argentina”) che contiene anche preziose interviste e fotografie a madri e nonne di Plaza de Mayo.
Moretti ha spiegato con dovizia di particolari ogni singolo contenuto del suo libro e lo ha arricchito in virtù di una memoria vivissima, allenata a registrare situazioni e a riconoscerle dai particolari più piccoli. Ha parlato della lezione delle madri di plaza de Mayo e di come essa debba servire da insegnamento per qualsiasi sentimento di vendetta. Ha argomentato sulle punizioni inflitte ai responsabili di quel golpe e di perchè l'Argentina, nonostante tutto, ricada nella tentazione di eleggere a Tucuman un torturatore certificato come Luis Patti. Ha detto di Kirchner e della sua ricetta realista e miracolosa, di Licio Gelli ("Era Perón a essere in soggezione di fronte a lui, non vicevrsa") e del peso importante che la Loggia P2 ebbe in quegli anni terribili. Dei silenzi della Chiesa e delle complicità stelle e strisce. Della legge del perdono e del jardin trasero. Una serata magica, chi c'era non la dimenticherà. Chi non c'era potrà lo stesso comprenderne l'intensità e le emozioni attraverso un libro fondamentale per capire alcune logiche decisive negli anni che stiamo vivendo.
Salvo Anzaldi

Friday, May 26, 2006

La fortuna di Fidel

Non c’è maniera di calmare Fidel Castro sulla questione aperta da Forbes. La rivista ha infatti posto il leader cubano –per il decimo anno consecutivo- tra i dieci governanti più ricchi del mondo (esattamente al settimo posto), prima della regina Elisabetta e subito sotto il principe Alberto di Monaco. Secondo Forbes, la fortuna personale di Castro ammonta a 900 milioni di dollari, una notizia che è poi stata ripresa in prima pagina dai quotidiani di tutto il mondo. Fidel però questa volta non ci sta e vuole le prove. Forbes nicchia e non risponde.
Forse perchè ha poco o nulla da dire. In effetti, nei profili che la rivista pubblica (
http://www.forbes.com/2006/05/04/rich-kings-dictators_cz_lk_0504royals.html) mentre sugli altri nove candidati ci sono lunghissime spiegazioni sui proventi ed investimenti, la scheda di Castro risulta stranamente risicata. “Stimiamo la fortuna in base al suo potere economico sulle compagnie statali” scrive, citando poi come fonti, ex ufficiali cubani esiliati (per cui inattendibili).
Secondo i difensori della rivista, la stima è fatta in base alla logica del sistema comunista, per cui il Líder máximo della rivoluzione ha disposizione assoluta su tutti i beni dello Stato. Che poi non ci sia nulla a suo nome è un’altra cosa.
Il ragionamento è un poco schizofrenico, ma per gli ambienti conservatori calza.
Castro si scalda, quindi, e a ragione e a Forbes non rimane che tacere perchè, proprio come dice Fidel: “non troveranno mai nemmeno un centesimo a mio nome”.
Di nuovo, agli amici americani non gliene riesce una con Fidel.
L’editoriale di Juventud Rebelde, intitolato “La vera fortuna è di Cuba”:
http://www.jrebelde.cubaweb.cu/2006/abril_junio/mayo-24/fidel7.html

Thursday, May 25, 2006

La sventura dei paseros






Pubblico alcune foto del reportage di Lillo Rizzo sui paseros. Il documento mostra una realtà finora sconosciuta in Europa, finalmente resa nota sul numero di maggio di Narcomafie (www.narcomafie.it)

Wednesday, May 24, 2006

I colombiani al voto

Le elezioni in Colombia sono giunte in dirittura d’arrivo. Da tempo la rielezione di Álvaro Uribe sembra cosa fatta, ma di questi tempi per cantare vittoria è meglio attendere fino all’ultimo. Nell’ultimo sondaggio la breccia tra Uribe e Gaviria sembra incolmabile (54% contro 23%), ciò nonostante il candidato della sinistra ha negli ultimi giorni guadagnato punti. Gaviria, un ex magistrato e senatore di 69 anni, del Polo Democrático, punta a giungere al ballottaggio. Intanto, elezioni blindate: saranno 220.000 gli effettivi che veleranno per la buona riuscita della giornata elettorale del 28 maggio. Non mi dilungo e vi rimando a Doppiafila e al suo Bogotalia per le informazioni di prima mano sulle elezioni colombiane: http://bogotalia.blogspot.com/

Semaforo rosso ai diritti umani

Semaforo rosso per i Mapuche al Parlamento Europeo. Pubblico la lettera inviata dai rappresentanti Mapuche in Europa, dove si spiega la bocciatura alla proposta di veto al Cile di Michelle Bachelet sul rispetto dei diritti umani dei popoli indigeni. La stessa sinistra si è spaccata sul tema: i socialisti hanno infatti votato contro: “il blocco socialista ha votato contro il nostro progetto” si legge nel testo “manifestando appoggio alla militante socialista e presidente del Cile Michelle Bachelet. C’è da aggiungere che questo gruppo è uno dei grandi ammiratori del modello cileno e che patrocina le buone relazioni tra l’Unione Europea ed il Cile”.
Di seguito il testo completo:

Estimados amig@s
Les escribo ya que cada uno de usted contribuyó activamente en ayudarnos a tomar contactos con diputados en el Parlamento Europeo. Ayuda que nos facilito la posibilidad de gestionar una Resolución de condena en contra del Estado de Chile por la sistemática violación de los derechos humanos del pueblo Mapuche. En consideración a la situación generada por la huelga de hambre de los cuatro pres@s políticos mapuche los recluidos en la cárcel de Angol; Patricia Troncoso, Patricio Marileo Saravia, Jaime Marileo Saravia y Juan Carlos Huenulao Lienmil postulamos la alternativa del tramite de urgencia ante el PE. Es decir, se trataba de conseguir un apoyo mayoritario entre los diferentes bloques políticos para que en la reunión de PE en Estrasburgo el pasado 10 de mayo, 2006 se tratara como uno de los 3 casos de urgencia.
La selección de los tres tópicos depende del acuerdo político entre los bloques o grupos políticos representados en el PE (732 diputados agrupados en 8 grupos políticos; dispersos en comisiones, delegaciones y grupos de trabajos del PE, así como en las estructuras internas de los grupos políticos). El resultado de la negociación de los coordinadores de los diferentes grupos políticos resultó en el compromiso de tratar los siguientes tres tópicos con carácter de urgencia; 1) Nepal, 2) Sri Lanka y 3) Taiwán o Bolivia (Nacionalización de los hidrocarburos que afecta a las transnacionales europeas -Endesa España-)
En el corto lapso de tiempo que disponíamos para gestionar el tramite (6 días) logramos conseguir el apoyo de la bancada de los Verdes, Izquierda Unida y Liberales. En total logramos el apoyo de un tercio del PE.
El bloque socialista expreso su rechazo a nuestro Proyecto de Resolución. Manifestaron su apoyo irrestricto a la militante del Partido socialista chileno y actual Presidente de Chile; Michele Bachelet. Hay que agregar que este grupo es uno de los grandes admiradores del “modelo chileno” y el que patrocina las buenas relaciones económicas entre la UE y Chile.
El otro eventual apoyo existía en el bloque Demócrata Cristiano, que parcialmente se mostró proclive a apoyar nuestro Proyecto de Resolución. Sin embargo; surgió la manifiesta oposición del eurodiputado español José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra. Al igual que en el caso del bloque socialista aquí se manifiestan intereses y relaciones políticas de diversas ramificaciones. José Ignacio Salafranca Sánchez-Neyra destacaba que al momento de la gestión de nuestro Proyecto de Resolución la Iglesia Católica chilena no se manifestaba públicamente sobre la huelga de hambre de los presos políticos mapuche. Lo cual es cierto; algunos días mas tarde la Iglesia Católica chilena lo hizo comentando que no estaba de acuerdo con este tipo de forma de protesta. Desde su punto de vista y técnicamente hablando se trata de un suicidio, y eso es condenado por los principios cristianos.
Por último hay que agregar que cualquier intento gestionar oficialmente una condena en contra del gobierno de Chile ante cualquier organismo internacional siempre chocaremos con una experimentado cuerpo diplomático. Cuyos cuadros diplomático provienen de un amplio espectro social y político; que va desde los funcionarios del régimen de Pinochet hasta los reclutados últimamente; ex exiliados y académicos. Un contingente fuerte y organizado tanto en Bruselas como dentro del PE y en general al interior del mundo político europeo.
Según nuestro “hombre en Bruselas” es posible insistir y seguir el curso y tramite ordinario. Es decir lograr consenso -previo acuerdo político- en al Comisión de Derechos Humanos del PE e ir a la votación en el PE.
¿Que se logró? En primer lugar; se logró poner en la agenda de discusión el tema en el PE. Es decir el tema no es desconocido en el ámbito político europeo. Lo cual se percibió con motivo de la participación de Michele Bachelette en la conferencia de Presidentes en Viena el 17 de mayo. En particular vale destacar que el representante de la bancada socialista del PE le pregunto a la Presidenta de Chile sobre la situación de los mapuche. Esto fue parte del compromiso que el jefe de la bancada socialista asumió al aclarar que no apoyaba nuestro Proyecto de Resolución.
Estimados amig@s es muy posible que continuamos con la propuesta de aprobar un proyecto Resolución de condena en contra del Estado de Chile por la sistemática violación de los derechos humanos del pueblo Mapuche. Seguramente será vía Comisión de Derechos Humanos del PE. En su momento volverán a saber de nosotros solicitando vuestra valiosa ayuda. Por el momento nuestro más cordial agradecimiento por vuestro fraternal apoyo.
En solidaridad
Jorge Calbucura Centro de Documentación Ñuke Mapu
Gaston Lion Comite Belga America India
Reynaldo MariqueoEnlace Mapuche Internacional

Monday, May 22, 2006

Mapuche: riprende lo sciopero della fame

Sembrava che si fosse giunti ad una soluzione ed invece si è di nuovo daccapo. I quattro Mapuche condannati a 10 anni per danni alla proprietà, hanno ripreso lo sciopero della fame. La protesta era stata sospesa lunedì, quando i quattro avevano ricevuto assicurazioni da parte del Governo che un decreto legge creato per risolvere il loro caso e quello di altri detenuti Mapuche sarebbe stato discusso entro il prossimo 9 giugno. Agli interessati è stato fatto pervenire un documento da sottoscrivere dove si diceva, tra l’altro, che nel futuro non avrebbero più usato la violenza per manifestare il loro dissenso. Questo, secondo loro, sarebbe stato come affermare la loro colpevolezza, quando i quattro continuano a dichiararsi innocenti. Da qui la ripresa dello sciopero.
Questa la traduzione del comunicato stampa:
Di nuovo, come nel passato, il governo cileno si è rimangiato la parola data, tradendo la nostra buona volontà ed ingannandoci. Facciamo un appello a tutto il popolo Mapuche, al popolo cileno e ai popoli del mondo a riprendere la lotta e non abbassare le braccia, già che noi riprendiamo lo sciopero della fame a partire da oggi, 19 maggio, per tempo indeterminato, mettendo a rischio la nostra vita per raggiungere quella libertà che meritiamo. Marichi Weu! Jaime Marileo Saravia - Patricio Marileo Saravia - Juan Carlos Huenulao - Patricia Troncoso. Dall’ospedale Hernán Enriquez di Temuco”.

Sunday, May 21, 2006

I paseros sfruttati e dimenticati

Chi sono i paseros?. Con Lillo Rizzo, autore di un reportage fotografico mozzafiato, abbiamo cercato di renderlo noto attraverso le pagine di Narcomafie in edicola questo mese. Quella dei paseros è una storia di abusi e di sfruttamento, che si svolge al confine tra la Bolivia e l’Argentina, dove centinaia di persone cariche come bestie da soma fanno la spola tra i due lati del confine per trasportare le merci di quei commercianti senza scrupoli che, in questa maniera, non pagano il dazio.
I commercianti che li assoldano li trattano come bestie. Li fanno aspettare fuori dai loro magazzini alle intemperie o sotto il sole a quaranta gradi e poi, quando viene concluso un affare, li chiamano con irriverenza per mostrare loro cosa devono trasportare. Proprio come i muli, questa gente è capace di caricarsi sulle spalle sacchi e casse di enormi dimensioni, al limite delle loro possibilità fisiche. Sono involti di sessanta, settanta chili sotto i quali i paseros arrancano per guadagnarsi pochi centesimi a viaggio. Chi ce la fa, ne porta più di uno. Caracollano per un po’, finchè prendono il passo e camminano quei cinquecento metri che sembrano una infinità e che li dividono dal confine. Sembra finita, ma una volta in fila comincia un’altra sfida, quella dei nervi, a subire in un’attesa interminabile, il disprezzo e la prepotenza imposte dai doganieri”.
Questa è solo una parte dell’articolo. Su Narcomafie di maggio il resto.
http://www.narcomafie.it/fotoinchieste_2006/foto_5_2006.htm

Saturday, May 20, 2006

Fujimori: la libertà costa 2800 dollari

È costata 2830 dollari la cauzione pagata per la libertà condizionale di Alberto Fujimori. C’è da scandalizzarsi? Nemmeno troppo. Fin da subito era parso strano il tentativo di Fujimori di raggiungere il Perù, facendo uno scalo tecnico in Cile. Ora, a due settimane dal ballottaggio tra Alan García e Ollanta Humala, il nostro viene messo in libertà, in attesa che il giudice (si aspetta la sentenza a fine giugno) decida se concedere o no l’estradizione.
La libertà dell’accusato non è un pericolo per la sicurezza, nè per la società o nè per le vittime e non intralcerà le indagini” si legge nella risoluzione.
Se è un tentativo di destabilizzare le prossime elezioni peruviane, lo sapremo solo nei prossimi giorni. Certo è che la libertà del Chino segna un punto a favore del disordine e dà vita a speculazioni di ogni tipo. Nel caso Fujimori si rifugiasse nell’ambasciata giapponese di Santiago, sarà praticamente impossibile convincerlo a consegnarsi e, con buona pace di tutti, tornerà a Tokyo in attesa di tempi migliori (le elezioni 2011). Nel caso rimanesse a disposizione delle autorità ne vedremo invece delle belle. Che tipo di amici stanno infatti aspettando il ritorno di Fujimori a Lima?
El Chino ora ha la possibilità di parlare e, di fatto, ha già iniziato, negando ai giornalisti che fosse al corrente dei casi di corruzione e di violazione ai diritti umani occorsi durante la sua amministrazione, anzi: “È stato il mio governo ad aver avuto il merito di cessare le violazioni dei diritti umani in maniera ferma” dice.
Rovistando nel mio archivio, per chi avesse la memoria corta come Fujimori o non conoscesse la storia del Perù, ecco cosa ho trovato:
Barrios Altos (3 novembre 1991): quindici persone innocenti sono assassinate a Lima dai reparti segreti dell’esercito. La responsabilità del governo di Fujimori è stata accertata. Dal 2002 diciannove famiglie ricevono un indennizzo dallo Stato per questo massacro.
Pedro Yauri (24 giugno 1992): il giornalista è sequestrato ed ucciso dalla polizia segreta. Prima di morire è costretto a scavare la propria tomba.
Università La Cantuta (9 luglio 1992): nove studenti ed il loro professore spariscono nel nulla. I loro cadaveri saranno ritrovati bruciati.
Pedro Huilca (18 dicembre 1992): il sindacalista è ucciso sulla porta di casa, davanti a moglie e figli.
Mariella Barrieto (marzo 1997): l’ex agente viene sequestrata, violentata e squartata dai suoi ex compagni.
Leonor La Rosa (marzo 1997): principale testimone della fine della Barrieto. Viene torturata dall’esercito e si salva per miracolo. Denuncia l’accaduto alla troupe di Canal 2. Per rappresaglia il governo di Fujimori prende possesso delle installazioni del canale.
Residenza ambasciatore giapponese (22 aprile 1997): l’esercito fucila senza processo i superstiti del gruppo dell’Mrta implicato nel sequestro di 72 ostaggi.
Questo è quello che succedeva a Lima negli anni di Fujimori. Raccontare cosa accadeva nel resto del Perù sarebbe cosa lunga.
Un blog interessante sulla società peruviana è questo:
http://pueblovruto.blogspot.com/

Friday, May 19, 2006

Maciel, il Legionario pedofilo

La liberazione di Fujimori si è presa i titoli di tutti i quotidiani latinoamericani, ma è una nota d’agenzia, breve e passata quasi inosservata, che ha attirato veramente l’attenzione. Il Vaticano ha punito padre Marcial Maciel Degollado, il fondatore dei Legionari di Cristo: d’ora in avanti non potrà più celebrare la messa, insegnare e rilasciare interviste. Padre Maciel, messicano, oggi 86enne, è stato per anni al centro di uno scandalo per pedofilia. Il religioso è stato chiamato in causa per violazioni che sono cominciate negli anni Quaranta nei confronti dei ragazzini che si univano alla Legione. Le denuncie sono sempre state circostanziate, il Vaticano non ha mai fatto nulla, anzi ha sempre protetto Maciel dalla giustizia ordinaria.
Queste testimonianze sono tratte dal volume “Pederastía en la Iglesia católica”, dello spagnolo Pepe Rodríguez:
Il padre Maciel mi chiamò nell’infermeria, eravamo a Roma... accettammo il suo apparente danno urologico e mi toccò vivere di tutto: palpeggiamenti, masturbazione, sesso orale” (padre Félix Alarcón).
A me disse che aveva dei dolori provocati da una involontaria retenzione di sperma, per cui aveva bisogno di un massaggio. Questo cominciò nella parte bassa dell’addome, poi abbassava la mano fino a toccargli il pene e da lì passava direttamente alla masturbazione” (Alejandro Espinosa, ex Legionario, oggi allevatore).
Quando il vescovo di Coatzacoalcos, Carlos Talavera, inviò la documentazione relativa agli abusi sessuali di padre Maciel, ricevette la risposta del cardinale Joseph Ratzinger (oggi il nostro papa) che considerava non fosse una cosa prudente aprire il caso, in quanto Maciel era una persona molto influente all’interno della Chiesa cattolica.
La violazione e l’abuso dei giovani adolescenti della Legione di Cristo era diventato un rito di iniziazione che Maciel effettuava con la protezione dei suoi superiori. A nulla valsero le insistenze del clero e dei media messicani perchè Maciel fosse rilevato dal suo incarico.
Si è dovuto aspettare fino ad oggi perchè il Vaticano, finalmente, decidesse una tardia (quanto politica, in fondo il difensore di Maciel è oggi diventato papa) sospensione.
Un esauriente pagina web sui crimini sessuali del clero si trova nella pagina dello scrittore Pepe Rodríguez:

http://www.pepe-rodriguez.com/Sexo_clero/Sexo_clero_menu.htm

Thursday, May 18, 2006

Dopo l'esercito, il muro

Il Senato degli Stati Uniti ha fatto ieri il primo passo ufficiale per approvare la costruzione del muro di frontiera con il Messico. Nel documento votato da 83 legislatori (16 contro) viene appoggiato il progetto di costruzione di 595 chilometri di muro, mentre per altri ottocento è prevista l’erezione di barriere per evitare il passaggio di automobili ed altri mezzi.
Gli Usa si chiudono nel loro guscio, come fanno le tartarughe, ed il resto del continente si chiede a cosa siano serviti anni di relazioni, di appoggio incondizionato e anche, perchè no, di guerre subite sul proprio groppone per salvare il culo al Grande fratello del nord. Il risentimento galoppa sul fronte degli alleati centroamericani, unica eccezione Vicente Fox, che ancora una volta si è calato le brache.
Il rafforzamento della frontiera da parte degli Usa è logico in vista della prossima legge destinata a portare ordine nella migrazione” ha detto ai giornalisti, riferendosi anche all’invio dei 6000 effettivi della National Guard ai confini con il Messico.
Muro, truppe armate, congegni sofisticati per contrastare un movimento di uomini disperati, che arrivano alla frontiera con i pantaloni rotti e a mani nude. Ora, non ci resta che aspettare il primo morto.
Vi lascio con la frase del giorno: “Le barriere fanno buoni vicini” (Jeff Sessions, senatore repubblicano dell’Alabama).
Alcune associazioni Usa che lottano per i diritti civili degli emigranti:
http://www.nationalallianceforhumanrights.org/
http://www.ufw.org
http://www.myspace.com/nationalbamn
http://www.eastbaysanctuary.org/
http://www.nohr4437.org/
http://www.mitfamericas.org/

Tuesday, May 16, 2006

Haiti e storie di rifugiati

René Preval, 63 anni, un titolo da agronomo, è tornato alla presidenza di Haiti. Tutti si sono felicitati con lui ed il discorso con cui si è insediato è stato all’insegna del vogliamoci bene. Preval ha avuto il privilegio di essere stato l’unico presidente haitiano (1996-2001) a non essere stato deposto da un golpe militare. Almeno è un precedente positivo, anche se i seguaci di Aristide –esiliato in Sudafrica- continuano a reclamare il potere.
La notizia è per segnalarvi la cronaca fatta dal giornalista e gesuita australiano Kent Rosenthal sul dramma dei rifugiati haitiani, argomento che i giornali continuano a dimenticare:
http://kentrosenthal.blogspot.com
Inoltre, una pagina sulle relazioni tra Haiti e Repubblica Dominicana, con notizie e reportage dalla frontiera e la situazione dei diritti umani:
http://espacinsular.org/

Monday, May 15, 2006

La frontiera Usa/Messico è zona di guerra

Militarizzo o no? Alla fine Bush ha davvero deciso (oggi l’annuncio ufficiale) e manderà la Guardia Nazionale a pattugliare la frontiera con il Messico. In una lunga telefonata domenicale, Fox aveva ottenuto rassicurazioni da Bush che questo invio non ci sarebbe stato, ma si sa “uomo bianco, lingua biforcuta”. Poche ore dopo, una fonte del Departamento di Stato ha annunciato che almeno diecimila soldati verranno mandati ad aiutare la polizia di frontiera per salvaguardare i confini nazionali.
Insomma, un’altra chicca dell’amministrazione Bush. Il presidente, giunto ad un infame 29% di indice di popolarità –il più basso nella storia degli Usa- cerca così di recuperare punti. Più probabile, invece con l’aria che tira, che otterrà il contrario. Perfino uno che non brilla per acume come Schwarzenegger gli è ora contro.
In dichiarazioni alla CNN, il consigliere Stephen Hadley ha provato a dare una visione all’acqua di rose della realtà: “Non stiamo militarizzando la frontiera” ha detto. “Vogliamo solo aiutare la polizia a svolgere il proprio lavoro, fornendo appoggio logistico ed addestramento...”.

Sunday, May 14, 2006

Mapuche: la Bachelet non molla

Sono diventati già 62 i giorni di sciopero della fame di Juan Carlos Huenulao, Patricia Troncoso, Jaime e Juan Marileo (quest'ultimo ricoverato all'ospedale di Temuco), i quattro Mapuche che chiedono una revisione del loro processo. La Bachelet, presentatasi al mondo come progressista, socialista, aperta al dialogo non cede e non si pronuncia, nonostante il moltiplicarsi degli appelli a favore dei reclusi, ultimo quello del Nobel per la letteratura José Saramago. Figlia di un militare, ex ministro della Difesa, la Bachelet sta mostrando in questa vicenda la sua vocazione legalista (nel caso del Cile non è un vanto), radicata al punto da difendere una sentenza ottenuta sotto le condizioni delle leggi anti terrorismo promulgate durante la dittatura di Pinochet.
La situazione, per quanto il governo cileno cerchi di minimizzare, sta diventando tesa. I Mapuche, attraverso il sito Mapuexpress
http://mapuexpress.net ora minacciano una rivolta generale dei popoli indigeni cileni nel caso che non si giunga a negoziati.
La sorte dei prigionieri è seguita ed aggiornata giornalmente sul sito:
http://www.presospoliticosmapuche.org/

Saturday, May 13, 2006

L'ambiente ed Evangelina

Nemmeno a farlo apposta a proposito di quello che scrivevo ieri, l’unico spazio in cronaca al summit di Vienna i giornali italiani l’hanno dedicato all’irruzione di Evangelina Carrozo in bikini. La Carrozo, che dice di essere attivitsa di Greenpeace, chiedeva lo stop della costruzione delle fabbriche di cellulosa sul Río Uruguay, tema che da tempo ha generato uno scontro diplomatico tra Argentina ed Uruguay.
Ai presidenti, ovviamente, è piaciuta l’entrata; ai fini della contaminazione della cellulosa non gliene sarà importato niente a nessuno. Sui metodi attuati ormai da Greenpeace convengo, comunque, che è sempre meglio mostrare le tette che farsi arpionare da una baleniera giapponese in un giorno di tempesta nel mezzo dell’oceano Pacifico.
Per la cronaca, quella che nessuno racconta. Evangelina è la regina del carnevale di Gualeguaychú, il paesotto che sorge sulla sponda argentina del fiume Uruguay. Un paio di settimane fa è stata contattata da Greenpeace per questa passerella a Vienna. La ragazza, probabilmente in cerca di pubblicità, ha accettato ed il gioco è fatto: Greenpeace fa parlare di sè, Evangelina troverà qualche contratto pubblicitario e le fabbriche di cellulosa si costruiranno ugualmente, con buona pace degli abitanti di Gualeguaychú che ora fanno il tifo per la loro beniamina.
Candido il commento del fratello della ragazza: “Evangelina non è un’attivista di Greenpeace. Loro ci hanno fatto la proposta e noi abbiamo accettato. Loro hanno pagato tutto”. Viva la verità.

Friday, May 12, 2006

Evo senza il maglione

I rappresentanti dell’America Latina sono a Vienna per un vertice con l’Unione Europea e la figura di spicco è ancora Evo Morales. Questa volta i nostri giornalisti non hanno trovato nulla da ridire sulla maniera di vestire del presidente boliviano, anche perchè si sono accorti che l’aymará ha ben altro da offrire che una chompa. La recente nazionalizzazione degli idrocarburi, l’avvio della riforma agraria e l’annuncio che la Bolivia non risarcirà Petrobras così come tutte le compagnie presenti in forma illegale nel Paese sono stati argomenti sufficienti in questi primi cento giorni per dimostrare come Morales faccia le cose sul serio.
Spariti gli articoli rosa, sui nostri tabloid è rimasto davvero poco sulle notizie che provengono dalla Bolivia e questo ci dà un’idea della qualità del nostro giornalismo. Tornando a Vienna, la Comunità Europea ha riconosciuto il diritto sovrano delle nazioni latinoamericane di decidere sul futuro delle proprie risorse naturali. È un bel passo avanti, visto l’andazzo che avevano preso certi contratti.
Le malefatte della spagnola Repsol in Bolivia:
http://www.cascall.org/repsol/
Galleria di foto sulla nazionalizzazione nella pagina della Bbc:
http://news.bbc.co.uk/hi/spanish/photo_galleries/newsid_4965000/4965150.stm

Thursday, May 11, 2006

Un poco di Tiquicia

Per chi volesse approfondire sull’elezione di Óscar Árias rimando all’articolo pubblicato su Peacereporter ed uscito oggi :
http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=5374
Sempre sulla Costa Rica, vi segnalo il blog di Julia Ardón che, oltre a pubblicare i passaggi più importanti del discorso di Árias, possiede delle belle gallerie fotografiche su San José e sul Paese:
http://juliaardon.blogspot.com/

Wednesday, May 10, 2006

Dopo il gas, la riforma agraria

Quando in America Latina si parla di riforma agraria, il discorso si fa molto serio.
Ci hanno provato in tanti, da Velasco in Perù ai sandinisti in Nicaragua, ma quasi nessuno è mai riuscito a rendere realmente produttivi i chilometri quadrati di terra che, proprietà di pochi, rimangono incoltivati. Chiave di volta nella contrapposizione tra proprietà privata e necessità sociali, la questione agraria è lungi dall’essere risolta. Chávez in Venezuela l’ha attuata fin dove ha potuto, ora tocca a Evo Morales riportarla sul tappeto.
Nelle intenzioni del governo di Morales c’è il progetto di consegnare a contadini ed indigeni almeno 14 milioni di ettari di terra ritenuta improduttiva (più o meno le dimensioni della Campania). La Bolivia non è nuova a riforme di questo tipo: le precedenti, nel 1953 e nel 1996, fallirono miseramente per l’opposizione dei gruppi di latifondisti. Le terre che saranno ora distribuite sono proprio quelle ottenute illegalmente dalle famiglie dell’oligarchia durante i periodi dittatoriali. Anche questa volta la provincia di Santa Cruz sta preparando la resistenza al decreto, che Morales ha promesso di presentare prima del 2 luglio, la data prevista per le elezioni dell’Assemblea costituente.

Tuesday, May 09, 2006

Il ballo delle vanità

Tra ieri e oggi sono arrivati un po’ tutti per la cerimonia che ha visto Óscar Árias assumere la presidenza della Costa Rica. Come in un ballo delle vanità, i presidenti latinoamericani (più qualche estraneo, come il capo dello Stato taiwanese) hanno fatto a gara per ritagliarsi uno spazio per le fotografie e per le dichiarazioni.
La cerimonia è stata in un certo senso l’occasione per riunire la destra latinoamericana. Sotto l’ala protettrice di Laura Bush, molto chioccia e querula, si sono riuniti i campioni del liberalismo a fare il punto della situazione sullo stato di salute del continente, agitato dalle rivendicazioni indigene e dalla ripresa della sinistra. Uribe, Fox, Saca, Bolaños, Zelaya, Berger ed Árias, alleati fedelissimi, hanno avuto così l’opportunità di avvertire il mondo del pericolo che sta vivendo l’America Latina: “Noi latinoamericani” ha detto Árias “dobbiamo scegliere se alimentare con pazienza il fiore democratico o se lo vogliamo schiacciare sotto il peso di sorpassati pregiudizi”.
Laura Bush ha voluto dire la sua sulla riforma di migrazione: “Gli Usa hanno bisogno di una politica umanitaria e giusta, che permetta alla gente di attraversare la frontiera legalmente”, ricordando poi come anche il Cafta rientri nella stessa logica comune.
Insomma, Árias ha sempre avuto un occhio di riguardo per la politica internazionale, come dimostra il premio Nobel che si è portato a casa nell’87. Già da oggi si candida quindi a paladino della democrazia intesa come antagonista dei governi di sinistra, da Chávez a Morales, da Lula a Tabaré Vázquez.
È quello che mancava agli Usa nella regione centroamericana, uno statista di esperienza, con il sufficiente prestigio internazionale per poter perorare nelle giuste sedi la causa di una destra finora confusa e senza una precisa direzione.
P.S.: un po’ sparuti ed in disparte c’erano anche Rigoberta Menchú e Lech Walesa. La pagina ufficiale di Óscar Árias:
http://www.oscararias.com/contenido/index.html
Come hanno commentato il discorso di Árias gli amici di Informa-Tico:
http://www.informa-tico.com/php/informa-tico.php

Monday, May 08, 2006

Il calcione di Alan García

4 giugno: questa la data del secondo turno delle elezioni peruviane. Ollanta Humala e Álan García si contenderanno la presidenza peruviana, con quest’ultimo in testa secondo i sondaggi con il 56% delle preferenze. C’è poco da stare allegri. Tra Humala e García risulta quasi impossibile decidere chi sia meno peggio. Con García il Perù ha vissuto tra il 1985 ed il 1990 una profonda crisi economica, con la recrudescenza del terrorismo e la ripetuta violazione dei diritti umani. Humala, soldato per eccellenza, di tortura e violenze se ne intende parecchio e con il suo nazionalismo da paccottiglia rischia di creare gravi tensioni nella regione.
La campagna elettorale, visti i personaggi coinvolti, si è trasformata oramai in un perenne scontro. Humala, spalleggiato da Chávez, ha tacciato García con gli epiteti di ladro e corrotto. Il presidente Toledo, che male ha tollerato l’intromissione negli affari nazionali, ha ritirato l’ambasciatore peruviano da Caracas, mossa ripetuta pochi giorni dopo dall’inviato di Chávez a Lima, che è tornato a casa. Le elezioni hanno già avuto quindi come risultato la rottura delle relazioni diplomatiche tra Perù e Venezuela dimostrando, se ce ne fosse stato bisogno, come l’America Latina si stia trasformando in una polveriera.
Tra le chicche rispolverate in questi giorni, c’è il famoso calcione propinato due anni fa da García ad un suo sostenitore (nella foto), colpevole di rubargli la scena durante un comizio. Il fatto era stato taciuto da uno stipendio che García si era promesso di pagare al suo partitario. Jesús Lora, questo il nome dell’offeso, ha però preferito ora rivolgersi al tribunale: se García è capace di prendere a calci i propri sostenitori, cosa farà con il resto dei peruviani?
Pro e contro su García: una pagina web con le ragioni per non votare García:
http://alangarcia.itgo.com/
La pagina ufficiale dell’Apra, il partito di Álan:
http://www.apra.org.pe/

Saturday, May 06, 2006

Il chip di Uribe

Álvaro Uribe è uno dei degni alleati degli Usa in America Latina. Diciamo degno perchè, con le sue proposte, è capace di tenere testa alle strampalate uscite di Bush e dei suoi collaboratori. Preoccupato per la piega che sta prendendo la protesta latina in quanto alla legge migratoria che si sta vagliando al Senato statunitense, Uribe ha fatto la sua strabiliante proposta: porre un chip a tutti i colombiani che vogliano emigrare al nord.
A rivelarlo sono stati i senatori repubblicani Arien Specter e Jeff Sessions, in visita in Colombia nei giorni scorsi. Uribe, una volta scoperto, non ha potuto fare altro che mezze ammissioni, che confermano la versione dei suoi alleati.
Uribe ci ha proposto di mettere un microchip sotto la pelle di qualsiasi colombiano in partenza per gli Usa, per poterne così controllare gli spostamenti” ha dichiarato abbastanza ingenuamente alla stampa Specter.
Uribe, che è in piena campagna elettorale per la rielezione, ci ha fatto la figura che si merita, ossia quella del coglione.
Una casalinga, intervistata dall’AP, ha dichiarato: “Che lo provi prima il presidente, poi ci dica che effetto fa”. E dove se lo deve mettere Uribe il chip? Si accettano suggerimenti.

Friday, May 05, 2006

I bambini di Porto Rico

Lo Stato non ha soldi e a farne le spese sono i bambini. Puerto Rico attraversa da alcuni mesi una severa crisi fiscale, con un buco di 900 milioni di dollari che non si può colmare. Da una settimana 90.000 impiegati dell’amministrazione pubblica sono stati mandati a casa, con un sussidio di 130 dollari alla settimana. Chiuse, quindi, anche le quindicimila scuole che, oltre all’educazione basica, sostenevano le spese di colazione e di pranzo per 400.000 bambini. Puerto Rico è solo l’ultimo esempio della dabbenaggine delle politiche neo liberali. Dopo l’Argentina, l’Uruguay, l’Ecuador tocca quindi anche all’isola felice, corteggiata dagli Usa e premiata con lo status di stato associato.
Ora, chi è rimasto senza lavoro riceve aiuti dall’assistenza e dai fondi federali. L’Associazione Familias y Niños sta consegnando pacchi di alimenti perchè genitori e figli possano sopravvivere alla crisi. Insomma, sono messi proprio male.
I politici fanno a gara a darsi la colpa. Il governatore Acevedo, privo della maggioranza nel Congresso, dice di avere le mani legate; l’opposizione ribatte che le misure proposte da Acevedo sono irrealizzabili. Intanto, di mezzo ci vanno i bambini. Quello che nessuno dice è che il governo di Puerto Rico ha sperperato in tutti questi anni ingenti somme di denaro, nel tentativo di scimmiottare il benessere del made in Usa.
Alle 3 di notte (6 maggio), ora italiana, sarà possibile seguire la videochat con il governatore Aníbal Acevedo su:
http://www.primerahora.com/
Informazione più attendibile viene invece dall’ascolto di Radio Universidad, che sta seguendo in diretta gli avvenimenti e si può ascoltare direttamente in rete: http://radiouniversidad.org/
Voce alternativa anche su: http://indymediapr.org/

Thursday, May 04, 2006

Colombia: un omicidio sulle elezioni

C’è stato un omicidio eccellente nella campagna elettorale colombiana, quello della sorella di César Gaviria, il candidato dell’opposizione al presidente Uribe. Un assassinio passato inspiegabilmente in secondo piano e che lascia spazio quindi a qualsiasi congettura. Sequestro, vendetta o avvertimento? Gaviria non parla, i giornali tacciono, nessuno vuole chiarire cosa sia realmente successo a Pereira lo scorso 27 aprile. Uribe, in un comunicato stampa (http://www.presidencia.gov.co/sne/2006/abril/28/05282006.htm)
non dice praticamente nulla, se non che è dispiaciuto ed è ora occupato a rintuzzare le critiche per la mancanza di una scorta governativa per un personaggio così in vista (Gaviria, oltre ad essere stato presidente, è stato a capo anche dell’Osa, ’Organizzazione degli stati americani).
Un esauriente panorama di quelle che sono state e sono le reazioni in Colombia viene dato da Bogotalia:
http://bogotalia.blogspot.com/
La sensazione è che Liliana Gaviria sia stata sacrificata in nome di qualcosa che sta molto più in alto di lei.

Wednesday, May 03, 2006

Il Nemagón continua ad uccidere

Giorgio Trucchi ha scritto un articolo per Peacereporter, che ricorda ancora una volta la tragedia che stanno vivendo migliaia di persone in Nicaragua per gli effetti del Nemagón, il pesticida usato nelle piantagioni di banane.
Il tema ritorna ricorrente perchè questa gente, malata di cancro, sterile, destinata ad una morte prematura dopo essere stata usata dalle multinazionali (facciamoli i nomi: sono la Shell, la Dow Chemical, la Occidental Chemical, la Chiquita, la Standard Fruit, la Dole e la Del Monte) lotta per avere almeno un’indennità decorosa per pagarsi le medicine e lasciare qualcosa alla famiglia. Sul Nemagón ci hanno mangiato tutti, non ultimi i collegi di avvocati: in Costa Rica, nel 1997, si giunse ad un accordo extra giudiziale che lasciava 17 milioni di dollari nelle mani degli avvocati per le parcelle e 200 dollari di risarcimento ad ogni lavoratore malato. Niente male, come affare. Qui l’articolo di Giorgio:
http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=&idart=5258
La qualità e la quantità delle banane sono passate per anni sopra la salute di chi le lavorava. La domanda era tale sulle tavole statunitensi ed europee che le multinazionali dovevano inventarsi pesticidi sempre più potenti, per tenere lontane le larve e produrre sempre più grandi quantità di frutta. Dietro la figura mite dell’uomo Del Monte o la ballerina esotica della Chiquita che ci mostravano in tivù, c’era in realtà gente sfruttata, piegata in due, che andava verso un destino di morte perchè noi potessimo mangiare le succulenti banane del tropico. Sul Nemagón avevo scritto quattro anni fa un’inchiesta, poi apparsa anche sul mio primo libro “Centroamerica – reportages” (http://www.frillieditori.com/catalogo_controcorrente.htm) Da allora le cose non sono cambiate: il passato continua ad essere di attualità.

Tuesday, May 02, 2006

Morales nazionalizza gli idrocarburi

Mentre negli Usa la protesta del giorno senza immigranti ha avuto un grande successo, con cortei di mezzo milione di persone a Chicago e Los Angeles, la notizia bomba è arrivata invece dalla Bolivia.
Dalle parole ai fatti. Evo Morales ha mantenuto la promessa elettorale e, a sorpresa, approfittando delle celebrazioni per il Primo maggio, ha firmato il decreto di nazionalizzazione degli idrocarburi. Ai cancelli della spagnola Repsol, della francese Total o della brasiliana Petrobras c’erano i soldati, per evitare che la notizia spingesse le direzioni ad operare un boicottaggio nell’approvvigionamento regolare della benzina.
Nel suo discorso alla nazione, Morales ha detto che si è trattato di un regalo alle migliaia di lavoratori che sono stati sfruttati durante l’intero arco della storia boliviana.
Il nuovo modello economico, il Paese che vogliamo, passa per le risorse naturali” ha spiegato. “La terra tornerà ai boliviani”.
All’estero le reazioni sono state dure, com’era da aspettarsi. Brasile e Spagna hanno di fatto già protestato, parlando di provocazione, ma di certo c’è che sulle basi del decreto (che prevede il riconoscimento alle imprese di solo un 18% degli utili), le multinazionali stanno pensando di abbandonare le operazioni in Bolivia.
Morales, però, è andato oltre. Ha infatti annunciato che la nazionalizzazione toccherà in tempi brevi anche il settore minerario. La decisione apre ora scenari nuovi, dove saranno soprattutto le reazioni internazionali a dettare i prossimi passi.
Su questo link, il discorso di Evo Morales dopo essere stato proclamato Presidente: dalle promesse ai fatti, appunto.

http://www.renacerbol.com.ar/ed106/noticias_de_bolivia04.htm

Monday, May 01, 2006

Un giorno senza emigranti

Sarà un Primo Maggio speciale quello che aspetta oggi gli Usa. Le organizzazioni civili, i sindacati, le associazioni stanno chiedendo che nessun latinoamericano si rechi al lavoro, come segno di protesta per la legge contro l’immigrazione che l’amministrazione Bush sta approntando al Senato.
Oggi negli Usa è un giorno come gli altri e tutti i lavoratori sono chiamati a lavorare per cui la mancanza di almeno trenta milioni di ispano americani si farà senza dubbio sentire. Proprio questa è l’intenzione degli organizzatori: creare l’effetto di un giorno senza immigranti, privando la società Usa della sua forza lavoro più umile.
Ma questo non è l’unico fronte su cui sarà disposto il boicottaggio. Ai lavoratori che rimarranno a casa viene chiesto di non frequentare nessun locale delle grandi catene statunitensi: Mc Donald, Wal-Mart, Sears, Burger King, Denny’s, Starbucks dovranno conoscere cosa significa fare a meno delle entrate dei clienti di origine ispana.
Il portavoce del Movimiento Latino Usa, Juan José Gutiérrez, così spiega la protesta: “Nessuno deve andare a lavorare o a scuola, nessuno deve vendere o comperare qualcosa, per dimostrare quale sia il potere della nostra presenza in questo Paese”.
La scommessa è fatta, domani parleremo della risposta al boicottaggio. Notizie in diretta (in inglese e spagnolo) sull’avvenimento su:
http://www.nohr4437.org/