blog americalatina

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"Hay muchas maneras de contar esta historia, como muchas son las que existen para relatar el más intrascendente episodio de la vida de cualquiera de nosotros".

Tuesday, February 28, 2006

Il commercio, padrone del mondo

Álvaro Uribe è raggiante: la Colombia ha chiuso le negoziazioni con gli Usa per il Trattato di libero commercio. Si farà quindi e si farà presto. Buon per lui. E per chi altri? Ho avuto modo di seguire negli ultimi due anni le negoziazioni del Trattato di libero commercio tra Stati Uniti e i paesi centroamericani. Così come per la Colombia, l’agenda ha seguito uno stesso copione: in prima fila, i grandi luminari di Washington hanno messo le norme per la proprietà intellettuale, i diritti delle grandi case farmaceutiche, l’abolizione dei monopoli, la revisione delle sovvenzioni all’agricoltura e così via. Tematiche sociali: zero. Problematiche ambientali: meno zero. Sviluppo sostenibile: zero spaccato.
Insomma, i TLC sono una porcheria. Ridotti ai minimi termini, sono dei trattati pensati apposta per le industrie statunitensi (più qualche privilegiata azienda locale), le uniche che possono e per il loro capitale e per la loro organizzazione compiere con i requisiti.
Prendiamo il settore agricolo. Si chiede al contadino di rinnovarsi, di investire nella campagna per compiere con le nuove normative. Il contadino latinoamericano –se non è il classico proprietario di una hacienda- è in generale un poveraccio che non ha accesso al credito. Guadagna appena per mantenere la famiglia e cerca di vivacchiare sperando che non gli cadi dal cielo un Mitch o una siccità. Ugualmente, non otterrà aiuto dallo Stato che, pur firmando l’accordo, non ha conservato fondi da dirigere ai suoi settori più esposti. Risultato: il contadino non sa più dove piazzare i suoi prodotti. Se vuole sopravvivere, deve vendere la sua terra. A chi? Alla compagnia straniera, naturalmente, che ha come investire e che farà rendere –vendendoli più cari- quei prodotti che prima acquistavamo a buon prezzo. Dove finisce il contadino? A fare il disoccupato e così suo figlio, sua figlia e gli immancabili nipoti.
Tony Saca, il presidente del Salvador, è un altro di quelli che non stanno nella pelle. Mercoledì entrerà in vigore il Cafta (il Tlc) tra il suo Paese e gli Usa. Nel suo discorso ha ripetuto le stesse cose che abbiamo ascoltato dieci anni fa, quando ci parlavano delle bontà delle politiche neoliberali: più lavoro, più affari, maggiori redditi, meno povertà. Fatevi un giro nelle periferie di Bogotá, Lima, Città del Messico o anche solo, a dieci chilometri da qui, in quello che chiamano l’Infiernillo, il piccolo inferno, e poi spiegatemi cosa c’è di buono in queste politiche. E poi, soprattutto: cosa ci diranno tra altri dieci anni?

Monday, February 27, 2006

I cento giorni di Fujimori

Alberto Fujimori ha fatto cento. Tanti sono infatti i giorni che ha trascorso rinchiuso nel recinto della Scuola della Gendarmeria di Santiago del Cile, in attesa che si decida sulla sua estradizione. È una detenzione all’acqua di rose quella a cui è costretto l’ex presidente dittatore del Perù. Non è in cella, infatti –perchè è claustrofobico- ma può aggirarsi in un perimetro delimitato delle installazioni della scuola. “El Chino” abita un’area di circa 150 metri quadrati, dorme su un sofà, ma può contare con varie comodità: tv via cavo, dvd, lap top (ma non internet), biliardo, oltre sulle visite di familiari, amici e avvocati. Proprio uno dei suoi avvocati, Francisco Velozo, gli sta insegnando a suonare la chitarra. Il vero passatempo di Fujimori è però il giardinaggio: ha infatti risistemato una delle aree trascurate della Gendarmeria, trasformandola in un giardino alla giapponese. Senza sporcarsi le mani, naturalmente, ma dando precisi ordini agli operai. Il governo cileno fa sapere che tutto il progetto è stato finanziato dallo stesso prigioniero.
Eppure, i fujimoristi si lamentano che il loro leader è sottoposto ad uno stretto regime: non ha accesso ad internet, non ha telefono e non può diramare comunicati. Ricordiamo che tra i capi d’accusa che pendono su Fujimori ci sono le stragi di studenti della Cantuta (10 morti) e di quella di Barrios Altos (15 morti), nonchè una lunga serie di operazioni illegali (dal narcotraffico alla corruzione) condotte con l’alter ego Vladimiro Montesinos.
Quella di Fujimori è, insomma, una passeggiata in confronto all’odissea patita da centinaia di vittime di quei metodi forti con i quali contava di fare del Perù una nazione a sua immagine e somiglianza. I cileni, in fondo, con lui sono dei gentiluomini. Cosa si aspetterà dai peruviani? I particolari della prigionia di Fujimori sono stati pubblicati dal supplemento del “Mercurio”, “El Sábado”:
http://www.emol.com

Saturday, February 25, 2006

I minatori di San Juan de Sabinas

La cittadina di San Juan de Sabinas non la conosceva praticamente nessuno fino a pochi giorni fa. Il nome è salito alle cronache nella maniera meno sperata, perchè San Juan de Sabinas è paese di minatori, di gente povera, sconosciuta, che non ha altra maniera di guadagnarsi la vita che scendere nelle viscere della terra per salari da fame (120 dollari). È da qui che viene infatti la maggioranza dei minatori -65 in totale- rimasti intrappolati sottoterra da una frana, con remote speranze di recuperarli con vita. È passata infatti una settimana dall’esplosione e ancora oggi i gruppi di soccorso non sono riusciti a raggiungere il luogo del disastro.
San Juan de Sabinas sorge nella provincia messicana di Cohauila, da dove si estrae il 95% del carbone di questa nazione. I minatori qui sono abituati ad una vita di stenti, e per i giovani non esiste nessuna opportunità di lavoro che non sia quella di emigrare o piegarsi alla vita in miniera.
La tragedia di domenica scorsa era praticamente annunciata. Le condizioni di lavoro sono pessime, e solo il 7 febbraio una commissione che aveva visitato le installazioni aveva rivelato serie irregolarità. Non abbastanza serie, però, da pregiudicare la chiusura della miniera. In un paese dove gli affari si arrangiano con favori e mazzette quella decisione non aveva scandalizzato nessuno. È come il cane che si morde la coda: gli operai chiedono migliori condizioni di lavoro, però allo stesso tempo si rifiutano di cedere ad una chiusura, anche solo temporale. Nella logica dell’azienda, invece, bisogna sempre andare avanti, non importano i rischi, non importa la vita delle persone. Il risultato è stata l’esplosione di grisù e, con le morti ormai certe dei minatori, miseria che si aggiunge ad altra miseria.

Friday, February 24, 2006

Le cifre del sequestro

Il quarto anniversario della cattura di Ingrid Betancourt da parte delle Farc serve anche per questo, per una riflessione profonda sul dramma che vivono migliaia di famiglie in Colombia, da quelle dei rapiti a quelle che devono abbandonare i loro pochi averi perchè incalzati dal gioco del gatto con il topo tra guerriglia ed esercito. Il problema maggiore è che ci si abitua al conflitto. Parlare della Colombia è ripetere notizie già sentite, è cadere nei luoghi comuni, cercare giustificazioni sempliciste che non prendono in considerazione la complessità della situazione. A quattro anni dal sequestro della Betancourt, poco si è mosso. Mentre il presidente Uribe mantiene un atteggiamento da duro, gli ostaggi muoiono. È successo la settimana scorsa a Julián Guevara, maggiore della polizia, che ha passato gli ultimi otto anni della sua vita prigioniero nella selva.
Dal 1994, secondo Las Voces del secuestro, sono scomparse trentamila persone in Colombia. Rapite, torturate, fatte sparire, arruolate a forza: comunque sia, nessuno sa che fine abbiano fatto. Insieme a loro, ci sono i 4200 sequestrati ufficiali: militari, politici, imprenditori, persone la cui liberazione può avere un peso economico e politico. Le Farc sanno di possedere un’arma letale e continueranno ad usarla che piaccia o no al governo di turno. Uribe e la sua intransigenza dovranno prima o poi fare i conti con questo.
http://www.lasvocesdelsecuestro.com/

Thursday, February 23, 2006

Ed ora Árias a pagare i conti

Cosa succede in Costa Rica? Le elezioni si sono tenute quasi venti giorni fa ed ancora non viene dichiarato un vincitore. Il Tribunale elettorale, dopo aver considerato la minima differenza tra i due candidati più votati (Óscar Árias e Ottón Solís) aveva interrotto il conteggio elettronico dei voti quando era stato scrutinato circa l’85% delle schede. Passati al conteggio manuale, risulta oggi che il risultato –uguale a quello originale- è quello che dà Árias vincitore. Eppure, il Tribunale non si azzarda a proclamarlo prossimo presidente.
Ieri sera Ottón Solís è apparso in televisione denunciando irregolarità. Árias, di fronte alle accuse del suo contendente, ha rilasciato pacate dichiarazioni, consapevole che non è il caso di creare ancora più polemica su queste elezioni così discusse. I 18.167 voti che infine lo distanziano dal suo rivale, sono sufficienti per evitare altri reclami.
Quando la volta scorsa parlavo di esempio di democrazia, mi riferivo ovviamente al comportamento della gente comune che sa trasformare le elezioni in una piccola festa. L’apparato burocratico, l’organizzazione dei partiti, il clientelismo e la diffusa corruzione, invece, sono uguali qui come in ogni parte del mondo. Árias ha vinto proprio utilizzando questa forma tradizionale e pericolosa di fare politica. Ora, nei prossimi quattro anni, dovrà restituire i favori ottenuti.
Su questa pagina indipendente trovate le notizie sulle elezioni in tempo reale:
http://www.elecciones2006.com/

Wednesday, February 22, 2006

Elicotteri russi per Chávez

Sono arrivati in Venezuela i primi elicotteri comperati all’industria militare russa. Il governo di Chávez ha speso 200 milioni di dollari per 15 elicotteri (dodici da difesa e tre per trasporto truppe) e centomila fucili Kalashnikov. Dopo il Cile, il Venezuela è il secondo paese sudamericano a investire una forte somma del suo bilancio nel rinnovare l’armamento. Solo domenica, Chávez ha dichiarato che, terminato il suo periodo presidenziale, proporrà un referendum per chiedere ai venezuelani una ennesima rielezione. Gli Usa hanno stigmatizzato sia l’acquisto delle forniture militari così come le ultime dichiarazioni. Insomma, la novella continua. Chávez, sempre nella sua trasmissione domenicale “Aló presidente” si è burlato di Condoleeza Rice, terminando la sua allocuzione con un minaccioso “No te metas conmigo”. A vederli sembrano dei galletti che litigano per futilità, in realtà il tema rischia di compromettere la stabilità nella regione.
http://www.ejercito.mil.ve/

Tuesday, February 21, 2006

L'ultimo colpo a Sendero Luminoso

Il comandante Clay, uno dei due che ancora mantengono viva l’organizzazione di Sendero Luminoso è stato ucciso domenica dalle forze di polizia peruviane. Sendero aveva colpito duramente a dicembre, facendo otto morti proprio nella zona –il paese di Aucayacu- dove Clay, all’anagrafe Víctor Aponte Sinalagua, è stato intercettato. Proprio a lui vengono attribuiti gli ultimi fatti di sangue, al punto che sulla sua testa era stata posta una taglia di 25.000 dollari.
L’ultimo dei senderisti in libertà è ora il comandante Artemio, che però viene considerato più un quadro politico che militare. Ai suoi ordini può vantare un contingente di circa 200 uomini, attestati nella regione di Huánuco e di Tingo María. Intanto, al Callao langue il processo ad Abimael Guzmán.

Monday, February 20, 2006

Rio, Copacabana e gli Stones

Più di un milione di persone per i Rolling Stones. L’accoglienza tributata questo fine settimana in Brasile è forse la più grande nell’intera storia del gruppo britannico. Lo scenario è stato tra i più suggestivi: la spiaggia di Copacabana a Rio de Janeiro. Il concerto è stato gratuito, pagato dal governo e da due firme di telefonia cellulare. L’evento diventerà un disco ed un DVD, ma se volete la primizia un sito brasiliano ha già pubblicato la versione zip del concerto, che si trova su:
http://d.turboupload.com/d/370279/ The_Bigger_Bang_Tour_Br2006_Part_1_by_Cruci.rar.html
e, naturalmente
http://d.turboupload.com/d/370982/ The_Bigger_Bang_Tour_Br2006_Part_2_by_Cruci.rar.html

Sunday, February 19, 2006

Le lunghe mani dello zio Sam

Il conflitto diplomatico tra Usa e Venezuela sta vivendo un’escalation non riportata dai media italiani. Nei giorni scorsi avevamo scritto di come Rumsfeld (proprio lui) avesse paragonato Chávez a Hitler e di come Negroponte (altro santo) avesse esposto al Senato quale pericolo fosse il Venezuela per gli interessi statunitensi.
Le acque sono torbide, ma continuano a smuoversi. L’altro giorno infatti Condoleeza Rice ha aumentato la dose, accusando Chávez di manovrare a favore dell’elezione dei suoi alleati nelle tante presidenziali previste per quest’anno in tutto il Centro e Sudamerica. In particolare, il Perú ed il Nicaragua sono sotto l’occhio critico di Washington. Mentre a Lima, Ollanta Humala sta facendo i conti con accuse di violazione dei diritti umani e vede la sua approvazione diminuire, a Managua la candidatura di Daniel Ortega sta invece prendendo forma. Attenzione, però perchè un ritorno dell’Fsln alla presidenza del Nicaragua sarebbe probabilmente l’ultimo affronto che gli Usa sopporterebbero.
La Rice ha chiesto alla Camera dei rappresentanti la formazione di un blocco di paesi in vista di un embargo al Venezuela, dando poi il suo appoggio ad uno sciopero di trasportatori che sarebbe stato in atto in questo paese. Di questo sciopero, però, non c’è traccia, nemmeno sui giornali dell’opposizione. Conoscendo la predisposizione alle bugie dell’amministrazione Bush, sembra che anche con l’America Latina verrà seguito questo nefasto copione. Chávez ha risposto, intanto, minacciando di tagliare la fornitura di petrolio agli Usa.
La Rice, però, avrà vita dura: Cil
e e Brasile, tra i primi invitati a formare il blocco anti Venezuela, hanno già risposto di no.

Saturday, February 18, 2006

Le ragazze di Ciudad Juárez

Non c’è nessun serial killer, nessun piano occulto, nessun festino del narcotraffico dietro le morti delle ragazze di Ciudad Juárez. Questa è la conclusione a cui è giunta la commissione per i Diritti umani del Messico dopo due anni di indagini. La colpa è del machismo e della violenza famigliare. Il procuratore, che si chiama Mario Álvarez, per provare le sue affermazioni ha ricordato che a Toluca, nello stesso periodo, di ragazze morte ce ne sono state 603, il doppio che a Juárez, senza che nessuna organizzazione gridasse allo scandalo. Il riferimento ad Amnesty International, che con una campagna di sensibilizzazione aveva portato il caso all’attenzione internazionale, è palese.
Le dichiarazioni del procuratore hanno dell’incredibile e dimostrano come, sui casi di Juárez, il governo di Fox non sappia e non voglia intervenire. Nel 1999, la squadra dell’Fbi chiamata dall’allora presidente Zedillo insisteva nella presenza di un gruppo che attuava seguendo un ripetuto modello di condotta. Le ragazze uccise presentavano nella grande maggioranza le stesse violenze e le stesse sevizie. La tesi è sempre stata avallata da giornalisti, investigatori privati ed avvocati delle vittime: l’unica a non averla mai presa in considerazione è stata la polizia. La connivenza tra forze dell’ordine e dello Stato, cartelli della droga e personaggi influenti sarebbe infatti la causa di tanta omertà. Il segreto, ben guardato, continua ad essere conservato. E ricordiamoci che Barrio, governatore di Ciudad Juárez al tempo della recrudescenza degli assassinii, è oggi ministro della Repubblica, amico e consigliere del señor Presidente.
Qui Amnesty sul caso di Juárez:
http://www.amnestyusa.org/spanish/mujeres/juarez/
Casa Amiga è un’organizzazione femminile di Ciudad Juárez impegnata in prima linea perchè si faccia chiarezza sui crimini:
http://www.casa-amiga.org/

Friday, February 17, 2006

Quando 120 euro devono bastare

128 euro: questo è quanto guadagna un medico in Nicaragua. Un salario da fame, che ha portato ad uno sciopero che oramai si prolunga da tre mesi. La soluzione è lontana: oggi il governo ha reso noto il rifiuto del Fondo monetario internazionale di ampiare il prestito che avrebbe permesso di soddisfare l’aumento richiesto, che è del 70%. (ossia, 217 euro in busta paga). Mentre lo Stato dichiara di non avere soldi, i medici minacciano ulteriori misure, come lo sciopero della fame e l’occupazione degli ospedali.
Nelle cliniche vengono ammessi solo i pazienti gravi, ma per le migliaia di persone che si presentano per altre necessità, le porte sono chiuse. A livello politico è il solito scaricabarile: il governo accusa i sandinisti di stare speculando sulla salute; l’Fsln ribatte che il presidente Bolaños, pur avendone la possibilità, non vuole risolvere la crisi. In mezzo, rimane la povera gente, per cui l’accesso agli ospedali è diventato interdetto. Naturalmente, le cliniche private funzionano. Deputati e capi popolo sanno dove andare a farsi curare.

Wednesday, February 15, 2006

Aznar ci riprova con l'America Latina

José María Aznar non è scomparso. Dopo i vergognosi tentativi di insabbiamento e di depistaggio sulla tragedia di Madrid, la stella del campione del centrodestra europeo sembrava eclissata. Aznar, però, non è uomo che può stare lontano dalla politica. Visto che nel suo paese non gli hanno ancora perdonato l’ignominia, sta tentando la carta dell’America Latina per ritornare sulla breccia. Domenica ha rilasciato un’intervista al quotidiano El Mercurio di Santiago del Cile dove si propone come guida del rilancio del centrodestra latinoamericano. Vi traduco i passi più importanti:
A cosa attribuisce il sorgere dei governi di sinistra in America Latina?.
Si vuole cercare delle scorciatoie alla democrazia e allo sviluppo... in America Latina c’è un ritorno al populismo. Questi movimenti indigenisti, in parte marxisti ed in parte rivoluzionari, si basano in criteri etnici, che non possono conformare le società moderne attuali”.
Che succede alla destra latinoamericana? Perchè non reagisce?
Perchè si vergogna. Sta zitta, è scomparsa, complessata ed è assurdo. Storicamente le idee di centrodestra sono quelle che hanno trionfato. È il mondo liberale, aperto, il mondo della concorrenza che ha creato più lavoro, più prosperità e più giustizia”.
Allora, perchè si vergogna?

Non lo so. Storicamente è vincitrice. Le sue formule sono quelle che trionfano”.
Non sarà perchè nel passato è stata complice delle dittature?
Credo che in America Latina nessuno possa tirare la prima pietra. Il signor Chávez ha tentato vari golpe, Castro è risultato di un golpe. Evo Morales ha vinto le elezioni, però ha reso la vita impossibile ai governanti della Bolivia”.
Come vede il futuro della destra?
Migliore dell’attuale. Spero che la marea populista si fermi. Qualcuno deve fermarla, qualcuno che dica che questo non è il cammino. Io sono disposto a farlo e so che ci sono buoni amici in America Latina che possono farlo. Organizziamoci e facciamolo”.
Negando anche la realtà, Aznar ha concluso l’intervista con un accenno all’Iraq: “Non mi pento di aver difeso l’intervento in Iraq. Ne sarei pentito al vedere oggi Saddam Hussein al lato degli ayatollah con le sue bombe nucleari”.
Ancora le bombe nucleari? Ma li legge i giornali, Aznar?
Testo integrale dell’intervista:
http://diario.elmercurio.com/2006/02/12/reportajes/_portada/noticias/D3B500E6-FABE-48E6-B0CA-DDD50FD7664A.htm


Tuesday, February 14, 2006

Berlusconi e noi che viviamo all'estero

Essere italiani all’estero non è facile. È una grande responsabilità, poichè gli stranieri ci guardano e ci studiano, vogliono capire. A volte penso che avesse perfettamente ragione quel mio amico che diceva che prima di andare all’estero bisognerebbe fare un esame che attesti le nostre qualità. Nel mio caso, ho preso molto sul serio questo compito, ossessionato dal contrastare l’immagine dell’italiano caciarone, urlatore, tutto mamma, pizza e mandolino. Un esame, però bisognerebbe farlo anche a coloro che rilasciano dichiarazioni riportate poi dalla stampa estera. Vergogna ed imbarazzo è quello che si prova quando, come in questi giorni, le persone mi chiedono come un popolo dalla tanta cultura possa avere un guitto come capo del governo. Colpa delle ultime dichiarazioni, ma anche di un curriculum indecente: le corna al ministro spagnolo, la corte alla premier finlandese, le menzogne della conferenza con Bush, i voltafaccia all’Europa. Ragazzi, vi governa un buffone: meno male che non ho diritto al voto, così mi posso bellamente dissociare. Sorge però spontanea la domanda: se questo è il premier, in fondo, non saremo davvero anche noi nient’altro che dei caciaroni maleducati?
Vi rimando a un editoriale su Berlusconi pubblicato dalla rivista messicana Milenio:
http://www.milenio.com/nota.asp?id=263219

Monday, February 13, 2006

La Nuova Tribù torna a casa

Hanno abbandonato ieri il Venezuela gli ultimi due missionari di New Tribes, il gruppo religioso accusato da Chávez di sfruttamento delle comunità indigene. L’ordine di espulsione era partito significativamente il 12 ottobre, il giorno delle Culture e delle Razze d’America, pochi giorni dopo la “fatwa” del pastore evangelico Pat Robertson, che incitava all’assassinio di Chávez.
La polemica tra governi latinoamericani e i gruppi missionari evangelici non è nuova e si è protratta per tutto il XX secolo. Ricordiamo, per esempio, l’opera di William Cameron Townsend, avanguardia del protestantesimo Usa impiegato come arma sociale e politica tra gli indios del Guatemala, Messico, Perù e Colombia. Al servizio degli interessi di Washington, le missioni sono sempre servite come arma a doppio filo. Chiamati per supplire alle carenze di educazione, i gruppi missionari hanno cambiato abitudini, lingua, religione e maniera di vivere delle popolazioni autoctone. In Venezuela New Tribes (presente da 59 anni) ha trasformato i villaggi degli yanomani in cittadine del Wisconsin.
Insomma, non mettiamo i pantaloni all’indio: lasciamo che sia lui a decidere se metterseli.
New Tribes ha anche una pagina in italiano (la sede è in provincia di Campobasso) e qui si parla del Venezuela:
http://italia.ntm.org/notizie/2899

Sunday, February 12, 2006

Istruzioni per cantare

"Comincia con il rompere gli specchi della casa, lascia penzolare le braccia, guarda vagamente la parete e dimentica. Canta una sola nota, e ascolta dentro te stesso. Se riesci a sentire (però questo succederà molto tempo dopo) un paesaggio percorso dalla paura, con segni di falò tra le pietre e con forme seminude in ginocchio,
sarai sulla buona strada. Lo stesso accadrà se senti un fiume solcato da barche di color giallo e nero, se senti un sapore a pane, un contatto con le dita, un’ombra di un cavallo. Poi, compra libri di solfeggio ed un frac, e per favore: non cantare dal naso e lascia in pace Schumann". (Istruzioni per cantare, Julio Cortázar, 1962).


Ventidue anni fa moriva a Parigi Julio Cortázar. Lo scrittore argentino aveva 70 anni.
L’invito per oggi è quello di incontrare Cortázar e di farvi trasportare in un mondo surreale, pieno di immagini e di sensazioni che, già dalla prima lettura, sentiamo nostre. L’opera principale di Cortázar, “Rayuela”, la trovate nel catalogo Einaudi.
La sua tomba è nel cimitero di Montparnasse.
http://www.juliocortazar.com.ar/

Saturday, February 11, 2006

Il fedele alleato

El Salvador ha mandato ieri altri 380 soldati in Iraq. Alleato fedelissimo degli Usa, il piccolo Stato centroamericano è stato tra i primi ad unirsi alla coalizione per la conquista del paese arabo. Questo contingente, che è il sesto inviato in Medio Oriente, si stanzierà nella località di Kut, al sud di Baghdad Il prezzo pagato in due anni e mezzo (dall’agosto 2003), è stato di due morti e dodici feriti.
L’approvazione dell’opinione pubblica sulla presenza dei soldati in Iraq è molto alta. Sin dalla tragedia delle Torri gemelle, El Salvador ha fatto fronte comune con gli Usa soprattutto perchè tra i morti di New York c’erano molti immigrati di questo paese. In quanto buon alleato, El Salvador ha ottenuto il congelamento del rimpatrio di 220.000 salvadoregni illegali negli Usa.
Il presidente, Tony Saca, un ex telecronista sportivo, ha affermato che continuerà a mandare i soldati in Iraq. Perchè diciamo tutto questo? Perchè il Salvador vanta un record: è l’unico Paese in tutta l’America Latina a mandare le sue truppe in Iraq.

Friday, February 10, 2006

Cellulosa e discordia sul Río Uruguay

Il conflitto di frontiera tra Argentina e Uruguay non si placa. La differenza è nata sulla costruzione di due piante di cellulosa (una affidata alla spagnola Ence e l’altra alla finlandese Botnia) nel territorio di quest’ultimo paese, che però si affacciano sulla frontiera argentina. La cellulosa inquina e gli argentini non ne vogliono sapere di beccarsi le scorie dei vicini. La faccenda, che si protrae da più di un anno, con il tempo ha preso una brutta piega e da venerdì la frontiera sul fiume Uruguay è praticamente bloccata dalla protesta. Mentre i camion e le merci si accumulano, Kirchner sta valutando di denunciare l’Uruguay alla Corte internazionale dell’Aja. Difficile infatti che il governo della Repubblica Orientale decida di ritrattarsi: per l’Uruguay si tratta del più grosso piano di investimenti nella storia del paese.
Uruguay e Argentina, stati fratelli, uniti ora anche nell’orientamento politico dei governi, se le stanno dando di santa ragione.
Greenpeace (
http://www.greenpeace.org.ar/index.php) ha cercato di fare da paciere, richiamando al dialogo, ma i suoi tentativi non hanno avuto fortuna. Sull’argomento si è andata formando una nutrita letteratura. La Botnia (http://www.metsabotnia.com/es/)
dice nella sua pagina di “produrre in maniera ecologica” la cellulosa; la Ence (
http://www.ence.es/) afferma il suo compromesso con i boschi. Indymedia Uruguay riporta un’intervista agli abitanti di Fray Bentos –la località dove sorgeranno le aziende- che, al contrario del loro governo, si dicono molto preoccupati: e questo succedeva già un anno fa. In Cile, a Cobecura, una pianta di cellulosa l’anno scorso fece strage di cigni (http://www.olca.cl/oca/chile/cisnes.htm).

Thursday, February 09, 2006

La logica del narcotraffico

“El Mañana” è il quotidiano che da ottanta anni viene stampato a Nuevo Laredo, città di confine tra Messico e Usa (nello specifico, lo stato del Texas). Nel marzo 2004 il suo direttore, Roberto Mora García, è stato assassinato mentre rincasava. Da sempre impegnato nella denuncia delle operazioni del narcotraffico, “El Mañana” ha organizzato due settimane fa un seminario aperto a un centinaio di giornalisti, “Batalla contra el silencio”. Le testimonianze dei giornalisti impegnati in prima linea sono servite come incentivo per creare un primo deciso contingente di reporter schierati nella lotta al narcotraffico. Nel documento di chiusura si denunciava l’incapacità degli organi di governo messicani (dalla polizia alla classe politica) di contrarrestare l’avanzata della narcodelinquenza.
La risposta dei cartelli non si è fatta attendere e si è espressa secondo la loro logica di violenza. L’altra sera, mentre i giornalisti stavano lavorando, un commando ha fatto irruzione nella redazione sparando a bruciapelo sui presenti e gettando due granate. Ci sono stati vari feriti, ed uno dei reporter, Jaime Orozco Tey, 33 anni, si dibatte tra la vita e la morte. Non lasciamo soli i coraggiosi giornalisti del Mañana ed esprimiamo la nostra solidarietà qui:
http://www.elmanana.com.mx/#

Wednesday, February 08, 2006

Parliamo di Cuba, Usa ed un post scomparso

Parliamo di Cuba oggi. Innanzi tutto una cosa strana. Venerdì ho postato su questo blog la notizia della richiesta di libertà di uso dell’Internet da parte dell’agenzia di stampa Cubanacan, che si oppone a Fidel Castro. C’era anche il link della lettera inviata del direttore Guillermo Fariñas a Castro, con alcune parti tradotte in italiano. Non so come sia successo, ma sabato sera il post era scomparso. Abbiamo un grande fratello in agguato?
La Repubblica qualche giorno fa annunciava, abbastanza avventatamente in un servizio fotografico, la costruzione di un muro sul Malecón, davanti alla sede commerciale statunitense. “Il muro” è stato rivelato lunedì. Si tratta di 138 bandiere nere che rappresentano i cubani uccisi per azioni di terrorismo riconducibili ad agenti statunitensi (Luis Posada Carriles primo fra tutti). Le bandiere occultano in questa maniera i messaggi che la sede Usa lancia nell’enorme pannello luminoso che dà sul Malecón.
L’ultimo appunto riguarda l’espulsione di 16 diplomatici cubani da un albergo della catena Sheraton di Città del Messico. Qui, i cubani erano riuniti con vari imprenditori statunitensi quando è arrivato l’ordine del Dipartimento del Tesoro di Washington di sbatterli fuori. Secondo la contorta logica Usa, gli hotel di capitale statunitense devono rispondere, anche se fuori del territorio nazionale, alle leggi del loro Paese. Ecco qui quindi che gli Usa cambiano anche le leggi internazionali del commercio. Se così fosse, la extraterritorialità che vale per le ambasciate si applicherebbe ora per ogni installazione statunitense all’estero, dagli alberghi alle sedi delle multinazionali, dalle concessionarie di auto ai supermercati: attenzione quindi a non farvi beccare in "territorio" Usa sennò vi tocca Guantánamo.
Il governo di Fox ha promesso di applicare una multa di 500.000 dollari allo Sheraton per contravvenire alle leggi internazionali sul commercio. Vedremo se i pavidi messicani manterranno la parola.
Imposto di nuovo il link con la lettera di Guillermo Fariñas a Fidel Castro:
http://www.bitacoracubana.com/desdecuba/portada2.php?id=1237

Tuesday, February 07, 2006

Quei gran dotti della Coca Cola

Ho sempre pensato che la campagna contro la Coca Cola abbia raggiunto in Italia, con gli assalti ai tedofori dell’Olimpiade, un eccesso fastidioso. Alle balle dello spirito olimpico e della festa dello sport io ancora ci credo, forse più spinto dai ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza, quando ancora sembrava che lo sport fosse qualcosa che sfuggisse alle regole del commercio e del potere.
Che poi la Coca Cola faccia un sacco di schifezze in Colombia ed altri paesi, siamo tutti d’accordo. Sentite cosa è successo a me oggi.
Stamane ho comperato una bibita al sapore di “arancia-mandarino”, in una confezione di tetrabrik che non lascia intravedere il contenuto. La marca produttrice della bibita è la HI-C, proprietà della Coca Cola Company. Per mia fortuna, al posto di bere il contenuto con la cannuccia ho deciso di versarlo in un bicchiere. Invece dei colori classici delle bibite d’arancia, ne è venuto fuori un liquido verde. Sorpreso, ho chiamato il numero di attenzione al consumatore entrando, di fatto, nel mondo surreale delle grandi aziende, fatto di attese, di musichine di ambiente (stupide ed irritanti) e di messaggi ipocriti (“la sua chiamata è per noi molto importante”).
Una signorina (sono sempre signorine quelle che rispondono) dalla voce gentile mi ha chiesto quale fosse il problema. Alla mia spiegazione, non ha trovato nulla di strano.
“La bibita era scaduta?” mi ha chiesto.
“No, scade a giugno”.
“Allora la può bere”.
“Ma non ha capito che è verde?”.
“Va bene, però non è scaduta, quindi la può bere”.
“Ma perchè è verde?”.
“Questo non lo so”.
“E come crede che io mi fidi di berla?”.
“Se non è scaduta la può bere”.
Ossia, che se si trattasse di acido muriatico, però non ancora scaduto, ci si può avvelenare contenti e con ragione perchè, comunque, è un prodotto Coca Cola.
Continuerò ad investigare. Intanto, eccovi una lista di entità che boicottano questo colosso:
http://www.ciepac.org/otras%20temas/campanas/boicot-coca/links.htm

Monday, February 06, 2006

A lezione di democrazia

Ieri –domenica- abbiamo vissuto qui in Costa Rica la giornata elettorale. Come mi piace fare ogni quattro anni, sono andato a dare un’occhiata ai seggi vicino a casa, questa volta accompagnato da Humberto, giusto per dargli la prima lezione di democrazia. Come sempre, già cinquecento metri prima di arrivare ai seggi, ogni spazio utile era stato coperto sistematicamente di bandiere e striscioni inneggianti i vari partiti. I delegati di zona, infatti, prendono in affitto alle famiglie le facciate delle loro case, così come i cortili, le finestre, i balconi che si trovano nei paraggi delle scuole. Humberto cercava inutilmente i colori rossoneri della Liga, la sua squadra di calcio, così ho dovuto spiegargli che si trattava di un’altra specie di torneo, a cui la Liga non era stata invitata.
Le elezioni si sono svolte di nuovo come una grande festa. All’entrata dei seggi i bambini regalavano bandierine e i venditori ambulanti offrivano agua de pipa ed empanadas. Non ci sono state violenze e le notizie degli assurdi fatti in Medio Oriente giungevano come una eco lontana che si spegneva di fronte alla maturità di questa nazione che nel mappamondo risulta piccolina ed insignificante. Eppure, come ho potuto vedere, qualcosa da insegnare ancora ce l’ha, pur con tanti difetti e tante ingiustizie.
In quanto alla cronaca Árias, che sembrava avere la vittoria in tasca ( i sondaggi gli davano 25 punti di vantaggio) è in difficoltà. Ottón Solís, il candidato della sinistra moderata, lo tallona a -0,3%. Come vadano le cose, è lui il vero vincitore. Árias infatti ha ottenuto i voti solo grazie alla macchina organizzativa del suo partito, che ha portato a votare –con bus, auto, taxi, pagati dal partito- migliaia di persone. Invece di un programma, viene premiato chi ha più fondi per mobilitare la gente secondo la maniera clientelista di fare politica.
Elezioni in diretta su:
http://www.teletica.com/

Sunday, February 05, 2006

L'etno-nazionalismo che avanza

Il nuovo che avanza: Ollanta Humala continua a guidare i sondaggi delle elezioni peruviane del prossimo aprile. Nazionalista, indigenista, pericolosamente amante delle armi, Humala se eletto sarebbe un ennesimo tassello nell’America Latina che cambia. Ma dove va? Per conoscere chi è questo candidato, traduco l’intervista rilasciata a Tiempos del Mundo.

La politica armamentista cilena ha rotto l’equilibrio strategico nella regione. Io vengo dall’ambito militare e la mia deformazione professionale mi direbbe di usare le armi. Non vogliamo però arrivare a questo. Dobbiamo costruire una politica di relazioni estere coerente, dove si incastri bene la difesa.
Giungeremo alla presidenza per qualsiasi cammino. Siamo nemici della globalizzazione, perchè vogliamo ristabilire nel Perú la vera democrazia, la etnodemocrazia.
Mentre il nazionalismo rappresenta un governo basato nella difesa del territorio, l’etnonazionalismo è il governo orgoglioso della razza, del sangue, della lingua e della geografia, per questo io mi sento identificato con la dottrina etnonazionalista.
Mentre la classe politica parla di sinistra, destra e centro, noi parliamo di nazionalismo. Vogliamo difendere la nazione da queste politiche che hanno trasformato il Perú in una nazione mercato, con un’economia primariamente d’esportazione. Il Trattato di libero commercio beneficerà solo piccoli settori, che non sono quelli che porteranno il paese allo sviluppo.
Ciò di cui abbiamo bisogno è costruire una forza militare moralmente forte e fisicamente dissuasiva. Poi, bisogna rafforzare e riattivare le industrie militari perchè oggi perfino gli stivali e le uniformi sono importati. Dobbiamo rafforzare le Forze armate perchè in questo momento non abbiamo nemmeno i soldi per la manutenzione degli aerei. In un anno ne sono caduti sei. Le forze dell’ordine non hanno nemmeno il telefono. Se uno vuole fare una denuncia, deve portarsi carta e penna e la mancia per il poliziotto. In queste condizioni il tema della sicurezza è davvero penoso.
La relazione che avevamo con la Spagna è la stessa che abbiamo ora con Washington. In realtà, in Perú non si decide niente. Il nostro programma economico si decide nel Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ed il ministro d’Economia del Perú è solamente un cassiere
”.
C’è da preoccuparsi? Io dico di sì.
L’articolo originale si trova:
http://www.tdm.com/Perspectivas/2006/02/20060202-70980.htm

Friday, February 03, 2006

Rumsfeld: Chávez é come Hitler

Registrazioni video delle fregate venezuelane, indirizzi di casa di ammiragli e generali, dati sui loro famigliari, informazioni sulle manovre militari: 25 effettivi delle forze armate del Venezuela sono stati accusati di aver passato tutti questi dati a John Correa, l’aggregato navale dell’ambasciata Usa a Caracas. Questo il risultato di due settimane di indagini. Chávez ha firmato l’atto di espulsione di Correa aprendo di fatto una crisi con gli Stati Uniti che, attraverso il suo ambasciatore, William Brownfield, ha fatto sapere che: “È la prima volta che un diplomatico statunitense viene espulso dal Venezuela. È comunque uso degli Stati Uniti rispondere alle espulsioni in forma simmetrica”.
Quasi contemporaneamente Rumsfeld, parlando al Club della stampa della capitale Usa, comparava Chávez a Hitler e John Negroponte, chiamato dal Senato, dichiarava che il leader venezuelano è ormai un alleato dell’asse del male formato da Iran e Corea del Nord. Detto da simili figuri, c’è davvero da preoccuparsi. In fondo, per quanto dimostrato sinora, Rumsfeld e Negroponte hanno molto da insegnare a Chávez.
Se volete scrivere a Chávez e chiedergli una sua opinione sui due geni della diplomazia Usa:
mensajes@alopresidente.com.ve

Wednesday, February 01, 2006

Costa Rica alle urne

Domenica ci saranno le elezioni qui in Costa Rica. Sembra scontata la vittoria di Óscar Árias, conosciuto in Italia ed in Europa soprattutto per il Premo Nobel per la Pace, consegnatogli nel 1987. Árias, 64 anni, conta sul forte appoggio del suo partito, Liberación Nacional, e sulla disgregazione delle altre forze politiche, che presentano una quindicina di candidati. Secondo i sondaggi, l’astensionismo la farà da padrone, con una percentuale attorno al 30%. Árias, che appartiene ad una delle famiglie più influenti del Paese, manterrà la tendenza neo liberale che investe tutto il Centroamerica. I sindacati hanno già promesso battaglia. Per lui (e per noi) si prospettano tempi duri. Per approfondire, due articoli in italiano:
http://www.peacereporter.net/dettaglio_articolo.php?idc=0&idart=4576
http://2americhe.com/central/crica%20elections.htm